Parrocchia San Basilio Magno


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Riflessione 02 04 2020

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Riflessione del 02 04 2020 GIOVEDÌ V SETTIMANA DI QUARESIMA

Vangelo Gv 8,51-59
Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno.

Siamo giunti alla parte conclusiva del cap. 8 e, al versetto 51, Gesù introduce un nuovo argomento, relativo alla vita e alla morte: “In verità, in verità vi dico: se uno compie la mia parola non vedrà mai la morte” (v. 51). Gesù dice con chiarezza che quanti sono disposti ad ascoltare e mettere in pratica il suo insegnamento (cf. 5,24) sono orientati verso una vita immortale. Chi è fedele al Cristo è liberato dall’esperienza della morte e gusterà la vita escatologica. Questo invito, per l’ennesima volta, è un appello alla conversione: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se fosse morto vivrà; e chi vive e crede in me non morrà in eterno” (11, 25- 26). Egli con la sua parola è fonte di vita e di immortalità (17, 24).

I suoi interlocutori, esprimono disprezzo e derisione di fronte a queste affermazioni di Gesù: “Ora siamo certi che hai un demonio... Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto?... Chi pretendi di essere?” (vv. 52-54). Sicuramente, non possono ammettere che Gesù sia in grado di liberarli dalla morte. Per l’evangelista, tuttavia, tali affermazioni sulla bocca dei contestatori diventano un implicito riconoscimento del reale mistero che avvolge la figura del profeta di Nazareth e che loro, pur non riconoscendolo, lo stanno proclamando. La verità su Gesù è detta: egli è la gloria di Dio, che si manifesta sotto i segni dell’umiltà, della debolezza e della povertà. Egli ha rinunciato alla propria gloria per amore dell’uomo (cf. 1,14; Rm 1,21; 2 Cor 1,21).

Gli interlocutori, neanche si pongono la domanda se Gesù sia veramente l’inviato di Dio, anche perché, secondo quanto dice la tradizione rabbinica, il “Messia è superiore ad Abramo”. Di fatto, non lo vogliono riconoscere come tale perché hanno un’idea diversa del Messia, il suo venire con gloria e potenza, per questo tornano a domandare le sue credenziali, trascurando di leggere i fatti e “l’opera di Dio” che si stava compiendo davanti ai loro occhi.

Gesù ancora una volta afferma che egli conosce il Padre e questo lo spinge a realizzare la sua missione e ad osservare la sua parola. Se facesse diversamente, sarebbe un “mentitore” come loro, che non vogliono praticamente riconoscere Dio.

A questo punto sembra che Giovanni voglia farci intendere che la frattura tra Gesù e i suoi interlocutori sia avvenuta e che si traduce in due mentalità opposte: o si è in sintonia con il mondo di Dio o con quello del diavolo.

A Gesù non resta altro che prendere le distanze, affermando che Abramo, come Mosè, è il suo testimone (cf. 5,45-74). Abramo vide il tempo futuro della salvezza e se ne rallegrò. Già la tradizione giudaica nel commentare Gn 15,18 aveva affermato che il “grande patriarca nella fede comprese che il piano salvifico di Dio, iniziato con lui, era finalizzato al Messia”.

I nemici, messi alle strette, non hanno altro a cui appigliarsi che alla sua età: “Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?” (v. 57). L’incomprensione degli avversari è netta. Stravolgono le intenzioni del Maestro e pensano ad una conoscenza diretta di Abramo da parte sua. Il numero cinquanta probabilmente è un’età buona per indicare l’ingresso nella vecchiaia dopo aver completato l’attività lavorativa come i Leviti che finiscono il loro servizio (Nm 4,3). L’equivoco viene reso anche a livello verbale Infatti, Gesù non ha mai detto di aver visto Abramo, ma al contrario che il patriarca ha visto lui. Lo sguardo di Abramo si è spinto fino a vedere la salvezza che Dio avrebbe compiuto nel popolo nato da lui. Citando Abramo, Gesù gli sta portando un’ulteriore prova, il patriarca gli rende testimonianza.

Ancora una volta, gli interlocutori di Gesù, non sono riusciti ad entrare nella dimensione dove abita lo spirito di Dio. A Gesù ora rimane solo la solenne proclamazione sulla sua divinità, che chiude il lungo e drammatico dibattito con i suoi oppositori: “In verità, in verità vi dico, prima che Abramo fosse, Io sono” (v. 58). Siamo di fronte alla sommità della rivelazione di Gesù in tutto il dialogo: Gesù si proclama “Dio”, il “Preesistente”, il “Vivente”, come lo è il Signore Iddio dell’Antico Testamento. Egli è il Dio per noi.

I giudei non possono tollerare tale affermazione e subito danno esecuzione al loro progetto di ucciderlo con la lapidazione, secondo quanto prescrive la legge di Mosè. Ma il Maestro si nasconde ed esce dal tempio consapevole che la sua “ora” non è giunta ancora al suo termine. Essi in seguito si ricorderanno della sua pretesa di “essere Dio”, e questa sarà l’accusa fondamentale che pronunceranno davanti a Pilato (19,7; cf. 10,33).

Il messaggio di Giovanni è un invito che giunge fino a noi. Il rifiuto di accogliere Gesù, quale Rivelatore dell’amore del Padre, non riguarda solo i suoi contemporanei, ma è il rifiuto del mondo che non si apre alla salvezza.

Oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi


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