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Riflessione del 03 04 2020 VENERDÌ V SETTIMANA DI QUARESIMA
Vangelo Gv 10,31-42
Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Possiamo leggere tutto il vangelo di Giovanni come un processo a Gesù. È iniziato con al cacciata dei venditori al tempio (cf 2,13ss “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”), continuato con la volontà di ucciderlo dopo la guarigione del paralitico alla piscina di Betzaetà (5,1-18), poi sviluppato nella lunga sezione commentata nei giorni precedenti durante la festa dei Tabernacoli (7,1-10,21), e trova il suo culmine nel testo di oggi con il motivo della condanna che ritroveremo in 18,14 “tu bestemmi perché sei uomo e ti fai Dio” (v. 33).
Il IV Vangelo inserisce in questo punto l’interrogatorio “sull’identità di Gesù” che i sinottici pongono davanti al sinedrio (cf. Mc 14,53-64 e paralleli). Giovanni non racconta il processo davanti al sinedrio perché, come abbiamo detto, tutta la vita di Gesù viene presentata come un processo. Allo stesso modo non racconta la metamorfosi, perché legge tutto alla luce della trasfigurazione.
Nel Vangelo di Giovanni, dunque, troviamo: il processo all’uomo che “accoglie” o “rifiuta” la Parola facendolo diventare o meno “figlio di Dio”. In base al giudizio che gli uomini fanno su Gesù di fatto giudicano se stessi. Decretando la sua uccisione stanno svelando la violenza che è nel loro cuore, la quale delibera ed esegue la propria condanna, uccidendo l’intima verità di essere figli e fratelli. L’uccisione di Gesù però ci salva. Egli infatti è pastore in quanto agnello che toglie il male del mondo (1,29).
Il nostro testo narra l’ultimo incontro/scontro tra Gesù e i «giudei», tra il Figlio e il non volergli essere fratelli da parte degli uomini.
Davanti all’esplosione di odio e al tentativo di lapidazione, Gesù reagisce con calma e sicurezza: “Vi ho mostrato molte opere buone che vengono dal Padre; per quale di queste opere mi lapidate?” (v. 32). Egli ha compiuto miracoli e segni davanti a tutti, facendo vedere che il suo potere viene dal Padre e quindi è di origine divina. Ora sono i “giudei” che devono fare attenzione alle sue opere per non opporsi al piano di salvezza di Dio.
Dall’altra parte, gli avversari di Gesù, rispondono distinguendo tra “opera buona” e “bestemmia”. Essi non intendono lapidare il Maestro per ciò che di “buono egli ha operato”, bensì lo vogliono lapidare per la “bestemmia” di essere uguale al Padre: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia, cioè perché tu, che sei uomo, ti fai Dio!” (v. 33; cf. 5, 18). Essi hanno compreso esattamente il vero senso della sua dichiarazione: identificarsi con Dio è un’insopportabile pretesa: “Tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Ma per la teologia giovannea la verità è completamente il contrario, in quanto “egli, che era Dio, si è fatto uomo”, servo obbediente e attento al volere del Padre (1,14-18).
Dopo l’accusa di bestemmia, Gesù, conferma di essere Figlio di Dio con una duplice motivazione: quella della “Scrittura” e quella delle “sue opere”.
La prima prova è biblica e per giustificare le sue parole Gesù cita il Salmo 81(82),6: “Io ho detto: voi siete dèi”. Se la Scrittura chiama “dèi” chi fa parte del popolo ebraico e persino i giudici ingiusti di Israele, di cui parla il Salmo, molto più potrà chiamarsi Figlio di Dio colui che il Padre ha santificato con lo Spirito ed inviato nel mondo perché proclami la sua parola. Infatti Gesù appare come un profeta che si colloca nella linea dei grandi profeti dell’Antico Testamento: Geremia e soprattutto Mosè, il profeta per eccellenza secondo Dt 18,18. Questo tema di Gesù profeta e, più precisamente, di Gesù nuovo Mosè, deve avere dunque un posto essenziale nella tematica iniziata in 10,34, con la citazione di Sal 82,6, che attribuisce il titolo di “dèi” ai giudici incaricati di rendere giustizia ad Israele”.
La seconda prova, più importante della prima, riguarda “le opere” che Gesù compie: “Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi. Ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me ed io nel Padre” (vv. 37-38). Le opere straordinarie fatte da Gesù vengono solo dal Padre ed hanno uno scopo ben preciso: quello di mostrare la comunione profonda di vita tra lui e il Padre. Sono dunque le opere il segno esplicito della sua divinità e nello stesso tempo la ragione di accusa per tutti coloro che non prestano fede a Cristo e si ostinano nel rifiutare la sua luce.
Gesù asserisce che lui non viola le autentiche tradizioni d'Israele, ma attraverso la “consacrazione” e la “missione” del Figlio, Dio porta a compimento la sua opera. Questa è la prima volta che di Gesù si dice che è stato consacrato da Dio, e questa consacrazione ricorda l'evento che sta dietro la celebrazione della “festa della Dedicazione”: la consacrazione dell'altare degli olocausti costruito in sostituzione dell’”abominio della desolazione” di Antioco IV¹. (¹ Vedi nota in fondo pagina)
La presenza di Gesù alla festa quale inviato del Padre, la presenza visibile di Dio nel mondo, porta a perfezione ciò che era solo un segno e un'ombra nell'atto di consacrazione fatto da Giuda nel 164 a.C. Non c'è più bisogno di cercare Dio nell'altare consacrato fatto di pietre; “Dio è presente nella persona del Figlio di Dio, consacrato e inviato nel mondo” (v. 36).
Gesù è la presenza vivente del Figlio di Dio tra “i Giudei” (v. 36b), e le sue opere rispecchiano il Padre. Se “i Giudei” vogliono dimostrare la loro fedeltà al loro Dio, il Padre di Gesù, allora devono accettare ciò che Gesù dice e fa. C'è una logica intrinseca nel ragionamento di Gesù: una volta che si accettano le origini e la destinazione di Gesù, tutto il resto ne consegue. Se Gesù non facesse le opere di Dio, “i Giudei” avrebbero ragione a non credergli; ma questa situazione è impossibile dal momento che “i Giudei” stessi hanno visto e udito (v. 37). Essi proclamano la loro fedeltà al Dio d'Israele presente nel Tempio, ma non sono disposti ad accettare quello stesso Dio visibile e manifesto nelle opere di Gesù. Con un ultimo tentativo Gesù li esorta ad accettare la verità che il Dio d'Israele, un tempo presente nell'edificio del Tempio consacrato, adesso è presente in mezzo a loro nelle opere visibili compiute dal Figlio di Dio (v. 38). Le sue ultime parole in occasione della festa della Dedicazione sono una reiterazione del v. 30. C'è un'unica strada che porta a Dio, e quella passa attraverso il Figlio di Dio; c'è un solo luogo dove il Padre può essere trovato e compreso, e quello è nella storia del suo Figlio.
Dopo che il Maestro ha svelato ancora le loro segrete intenzioni e l’inconsistenza delle loro ragioni, la reazione è immediata. Cercano di catturarlo, come avevano fatto poco prima (7,30.32.44), per condannarlo in giudizio come blasfemo, ma egli si sottrae dalle loro mani e va oltre il Giordano dove era stato annunciato dal Battista, come l’«Agnello di Dio» (1, 29), in questo stesso luogo la conclude la sua vita pubblica.
Si respinge l’inviato del Padre, ma quelli che credono si raccolgono attorno al suo Signore presso le acque del Giordano, dove un tempo il popolo dell’Antica Alleanza si era radunato prima di toccare la terra promessa. Così ora si raduna la comunità messianica che si prepara a realizzare, con Gesù, il nuovo «passaggio» verso il Padre, salendo per l’ultima volta a Gerusalemme. Nonostante l’incredulità di tanti, molte persone credono in Gesù Messia e si preparano a seguirlo nel suo cammino verso la croce, dove il Salvatore concluderà con l’umanità la Nuova Alleanza.
¹ Il termine “abominio della desolazione” esprime l'orrore e il disprezzo per ogni azione che profani la santità di un luogo. In particolare indica il sacrilegio perpetrato nella casa di Dio, il Tempio di Gerusalemme, e l'impurità che ne derivava, raccontate in Daniele 12,11. Tra le visioni di Daniele c'e anche la profezia su Antioco IV Epifane (175-164), re di Siria e dunque della Giudea, discendente di Seleuco I, generale di Alessandro Magno, soprannominato “epinàmes”, “pazzo”. Egli nel 167 a.C., profanò il Tempio e il Santo dei Santi, impose ai giudei il culto di Zeus Olimpio, erigendo, sull'altare degli olocausti, una statua Giove, proibendo la religione ed i riti giudaici ed ordinando di distruggere i libri della Legge, sotto pena di morte. Ciò provoco la violenta rivolta dei Maccabei guidati dal sacerdote Mattatia e poi dal figlio Giuda Maccabeo che, dopo la riconquista Gerusalemme, nel 164 a. C. purifico il tempio e ricostruì l'altare offrendo sacrifici (1Maccabei 1,54 e 4,45-53).
Oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi