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Riflessione 09 04 2020 Giovedi' Santo

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Riflessione del 09 04 2020 GIOVEDÌ SANTO - CENA DEL SIGNORE

Vangelo Gv 13,1-15
Li amò sino alla fine.

All’inizio del capitolo tredicesimo, il Vangelo di Giovanni ci racconta un gesto compiuto da Gesù nell’ultima cena (vv.1-15) che rivela un mistero assai più grande di quanto nella sua immediatezza sembri suggerire. È sulla stregua delle “azioni” che compivano i profeti nell’Antico Testamento e che il popolo era chiamato a capirne il messaggio nascosto.

Il IV Vangelo nell’Ultima Cena non parla dell’istituzione dell’eucaristia (oggetto invece del discorso sul Pane di vita in Gv 6), piuttosto egli pone un gesto che dice il significato ultimo dell’eucaristia, come “atto di amore estremo per i suoi”, manifestazione di un “servizio pieno” verso i discepoli.

Nell’arco della storia, questo gesto ha ricevuto interpretazioni molto diverse. Alcuni vi vedono un “insegnamento di umiltà”, un’efficace illustrazione del comando dell’amore fraterno. Altri invece vi leggono allusioni ai misteri “dell’eucaristia” e del “battesimo”. Probabilmente i significati si richiamano a vicenda. Per non smarrirsi in un mare di significati diciamo subito che l’atto della lavanda dei piedi è, per Giovanni, la rappresentazione di “tutta la vita di Gesù”: l’alzarsi da tavola, il deporre l’indumento della gloria, il chinarsi verso di noi nel mistero del perdono, il servizio della vita e della morte umana. Come mediteremo domani, venerdì di Passione, nella morte di Gesù si mostra il vero contenuto della sua vita. Vita e morte rivelano l’atto dell’amore fino alla fine, un amore infinito, che è l’unica vera lavanda capace di abilitare l’uomo alla comunione con Dio, cioè capace di farlo libero.

Questo gesto manifesta chiaramente che ci troviamo di fronte ad una “morte per amore”. Giovanni usa qui il verbo ‘agapáo che indica un amore che viene da Dio e si modella sull’amore gratuito e totale di Dio. La croce di Gesù sarà la manifestazione di questo amore divino, affetto supremo che ama fino all’estremo delle risorse: “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” (v. 1).

Gesù, per dimostrare questo amore, si alza da tavola, depone le vesti, e si cinge la vita con un asciugatoio. Il gesto di “deporre” le vesti richiama il gesto del Buon Pastore, che si “spoglia della sua vita” per donarla alle sue pecore. Infatti se confrontassimo i verbi usati in questi versetti: “depose le vesti” (v. 4) e “riprese le vesti” (v.12), sono gli stessi verbi impiegati nella parabola del Buon Pastore per dire “offrire la propria vita” e “riprenderla” (Gv 10,18). Questo gesto dello spogliarsi le vesti e del cingersi l’asciugatoio, dunque, rievoca il mistero della “passione” e della “risurrezione”, che la lavanda dei piedi renderà simbolicamente presente. Il cingersi l’asciugatoio è l’atto del servo, di colui che serve a tavola; la morte di Gesù è un atto di servizio verso l’umanità.

La reazione di Pietro non può certo tardare; egli nel Vangelo di Giovanni rappresenta il discepolo che trova difficoltà a capire la logica d’amore del suo Maestro e a lasciarsi condurre docilmente dalla volontà del suo Signore. Pietro non può accettare il gesto umile di Gesù: primo, perché lavare i piedi dei commensali è un atto di servizio che nella “mens” di Pietro mal si addice alla dignità del Maestro; secondo, ancor più grave, è il fatto che i piedi, nella cultura antica, rappresentavano l’estremo dell’impurità; era infatti un’azione che potevano compiere solo gli schiavi! Pietro si scandalizza di quello che Gesù sta facendo e il suo scandalo evidenzia la “distanza” tra il suo modo di vedere e il modo di vedere di Gesù.

“Signore, tu lavi i piedi a me?” (v.6)
Il nostro evangelista attraverso l’opposizione “tu a me” sottolinea questa distanza tra il Signore e lui. Già Giovanni Battista diceva a Gesù che veniva a ricevere il battesimo nel fiume Giordano: “Tu vieni a me” (Mt 3,14). Ma Gesù gli insegna che il gesto ha un significato che adesso lui ignora, non comprende, gli sarà chiaro “più tardi”. Quando l’evangelista evoca una comprensione futura, “più tardi”, non si tratta semplicemente di una spiegazione che Gesù darà in un secondo momento, ma si riferisce al tempo “post-pasquale”, quando sarà donato lo Spirito.

Gesù replica al nuovo rifiuto di Pietro, dicendo: “Se non ti lavo, non avrai per nulla parte con me”. Ritroviamo qui l’opposizione “te/me” ma rovesciata; per Gesù si tratta proprio di colmare la distanza che ancora lo separa dal discepolo. L’espressione usata dal Maestro “??e?? µ????” = “hai parte” (v. 8), nella Bibbia significa “condividere con qualcuno un bene, un’eredità” che può essere di ordine sociale o spirituale. Vista che qui si tratta del “me” riferito a Gesù, l’espressione propone un’appartenenza definitiva, una comunità di vita con lui. Il gesto della lavanda che sta avvenendo permette al discepolo di accedere a questa comunione. A questo punto Pietro, se il senso del lavare i piedi è quello di rimanere sempre nella comunione con il Maestro, è disposto anche a fare il bagno.

Ma Gesù replica: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo” (v. 10). Giovanni parla di “lavare” (níptein), da non confondere con il gesto del “bagno” (loúesthai) che ha già avuto luogo, ed essendo sufficiente non occorre ripeterlo. A quale bagno si riferisce? Molti autori richiamano al “bagno di rigenerazione nello Spirito Santo” deducendo che si stia riferendo al battesimo.

A tal proposito sant’Agostino, sapientemente si chiede che cosa voglia dire:
“se un uomo è lavato, cioè battezzato, è quindi mondo; perché e in che senso ha bisogno di una lavanda dei piedi? Che cosa è questa lavanda dei piedi sempre e di nuovo necessaria dopo il bagno, dopo il battesimo? Il Vescovo ipponese risponde: senza dubbio siamo stati resi mondi interamente nel battesimo, anche i piedi; siamo stati fatti «mondi», ma finché viviamo quaggiù, i nostri piedi poggiano sulla terra di questo mondo. «Gli stessi affetti umani dunque, senza dei quali non si dà vita in questa nostra condizione mortale, sono come i piedi, attraverso i quali siamo in contatto con le realtà umane; e ne siamo toccati in tal modo, che se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi»”. (Commento a San Giovanni, LVI,4) Ma il Signore sta al cospetto di Dio e, intercedendo per noi, ci lava i piedi giorno dopo giorno, nel momento in cui noi pronunciamo la preghiera: rimetti a noi i nostri debiti. Nella preghiera quotidiana del Padre nostro, Gesù si china anche oggi, verso di noi, prende un asciugatoio e ci lava i piedi.

Gesù non presenta questo gesto solamente come un modello esteriore da imitare, ma come un dono che genera le scelte future dei discepoli. È quanto lascia intendere al v. 15 “vi ho dato un esempio, perché, in virtù di (kath?s) ciò che ho fatto per voi, anche voi lo facciate”. La congiunzione “kath?s” non significa semplicemente “come” nel senso di confronto, ma pone una “relazione genetica”. Si potrebbe parafrasare: “Agendo così, io vi dono di agire allo stesso modo.”

L’amore fraterno, in Giovanni, è inserito nell’amore trinitario. Questo è il “comandamento nuovo”, non nel senso di un comandamento esteriore, ma come struttura intima dell’essenza cristiana.

In questo Giovedì santo ci è dato di riflettere sul nostro essere rigenerati in Dio, sulla nostra identità di figli inseriti nell’amore trinitario, sapendo che le nostre azioni possono avvenire nello stesso amore del Figlio, se glielo permettiamo.

Buon inizio del Triduo Pasquale

Oggi, alle 16.00 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi


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