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Riflessione del 15 04 2020 MERCOLEDÌ FRA OTTAVA DI PASQUA
Vangelo Mercoledì fra l'Ottava di Pasqua Lc 24,13-35
Riconobbero Gesù nello spezzare il pane.
Ancora oggi il nostro cammino nelle fede pasquale si arricchisce di una nuova tappa. Il vangelo che oggi la chiesa ci fa contemplare è un brano che tutti, o quasi tutti conosciamo. Siamo in presenza del brano che ci racconta dell’apparizione di Gesù ai due discepoli di Emmaus. Il cammino di questi due discepoli è anche il nostro. Come abbiamo visto nei brani precedenti, anche per i discepoli di Emmaus il loro stato emotivo è cupo, triste, tuttavia man mano che riconoscono il Cristo allora la loro tristezza si trasforma in gioia: «non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via» (v. 32).
Sicuramente i vangeli ci dicono che sono le donne a dare il primo annuncio della risurrezione di Gesù. La tradizione infatti ha chiamato Maria di Magdala “apostola degli apostoli”. Tuttavia la tradizione giuridica ebraica non consentiva alle donne di essere testimoni in un giudizio. Per questo gli apostoli avevano accolto con un certo smarrimento e perplessità le parole delle donne. Oggi sono questi due discepoli, di cui non conosciamo molto, ma sicuramente sono provenienti dalla cerchia più stretta dei discepoli che vivono a Gerusalemme o nei suoi dintorni come per l’appunto è il villaggio di Emmaus. Di uno ci viene detto persino il nome Cleopa. Forse il figlio di quella Maria che stava presso la croce di Gesù (cfr Gv 19,25) e il cui figlio, Simone di Cleopa, secondo quanto afferma Egesippo fu il secondo vescovo di Gerusalemme.
Credo che ormai abbiamo capito lo schema del racconto delle apparizioni di Gesù, che gli evangelisti usano per raccontarci come la loro fede sia arrivata a sperimentare la Pasqua della Risurrezione di Cristo. Per aiutare la memoria possiamo ricordare in breve: Gesù appare improvvisamente; non viene riconosciuto; quando è riconosciuto allora gli interlocutori sono presi da grande gioia.
La corporeità di Gesù, per quanto sia reale e materia, non è più riconoscibile a chi non ha fatto l’esperienza della Pasqua. E come si fa questa esperienza?
Luca è attento alla storia e alla sua narrazione, per questo dice «in quello stesso giorno» (v. 13), il giorno è il primo giorno della settimana come in precedenza siamo informati (cfr. Lc 24,1). Questo giorno è la domenica, e non una qualsiasi domenica ma proprio la domenica in cui il Cristo è risorto. Non ci deve sorprendere che l’evangelista non la chiami domenica, ma il “primo giorno”. Per il Pentateuco, e dunque per gli ebrei, l’ultimo giorno della settimana è il Sabato, lo Shabbat, nel quale Dio si riposa alla fine della creazione. Il giorno dopo è, ovviamente, il primo giorno, con il quale inizia la settimana. Gli evangelisti ci informano che proprio in questo giorno avvenne la risurrezione di Gesù, di cui i due discepoli di Emmaus sono testimoni. Questo giorno dagli antichi romani era detto «dies solis», fu l’imperatore Teodosio che con un suo decreto del 383 cambiò il nome della feria prima in «dies dominica» cioè in Domenica.
Il viaggiare dei due discepoli e il loro parlare degli eventi che riguardavano la morte di Gesù, rappresentano la prima comunità che si era formata attorno alla predicazione di Gesù e che ora è rimasta se non scandalizzata, alquanto delusa di come sono andate le cose. Essi si immaginavano un messia nazionalista, invece colui che ritenevano il Cristo è morto. E poi chi aveva la memoria lunga si ricordava di quanto aveva detto che sarebbe morto, ma il terzo giorno sarebbe risorto (cfr. Lc 9,22; 9,44; 18,31-33). La giornata sta passando e non succede niente di eclatante, nessuno di quei miracoli come era stato la risurrezione di Lazzaro, nessuno di quel sensazionalismo che pure oggi cerchiamo, vogliamo e desideriamo per credere. Il nostro non è un Dio dagli effetti speciale, non gli piace far rumore. Preferisce starci accanto con discrezione, anche quando non lo riconosciamo.
La domanda a questo punto ritorna ed esige una risposta: come facciamo ad entrare nella dinamica del mistero Pasqua?
La pericope di oggi ci fa comprendere che significa entrare in questa profonda realtà che diventa via di salvezza per chiunque crede: «io infatti non mi vergogno del Vangelo perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo, prima, come del greco» (Rm 1,16). Il battesimo è la porta di accesso a questo mistero, ma la fede lo deve precedere. La fede intesa non come espressione della nostra emotività, bensì come atto di totale adesione alla verità e alla bontà di Dio. Atto di fiducia e di fedeltà alle promesse fatte da Dio. Ai due discepoli di Emmaus sembra mancare la fiducia alle promesse, sono scoraggiati. Avevano politicizzato l’insegnamento di Gesù, credendolo il liberatore d’Israele (v.21), già pregustavano la vittoria sui romani.
I due discepoli procedevano ruminando i fatti, gli eventi di cui forse erano stati testimoni, ce li immaginiamo nascosti lontani dalla scena. Gesù si accosta a loro e gli dice: «che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino» (v. 17). Gli sarà sembrato un uomo dabbene dato che pur non riconoscendolo gli danno confidenza. Loro subito rivelano che stavano parlando di Gesù il nazareno che fu profeta potente in opere e in parole.
Gesù non fa niente di miracoloso, non dice niente di particolare, non li chiama neppure per nome. Si limita a definirli «stolti e lenti di cuore» (v. 25) e cominciando dal Pentateuco, cioè da Mosè, e da tutti i profeti inizia a spiegare loro le scritture che si riferivano a lui (v. 27). L’Antico Testamento è stato una lunga preparazione alla venuta di Cristo, il Nuovo Testamento è la memoria degli apostoli testimoni del Cristo risorto. Da quella prima domenica di Pasqua la scrittura non sarà più spiegabile senza riferirla a Cristo, che è la Parola di Dio fatta carne (Gv 1,14).
Il loro cuore arde v. 33, ma non lo riconoscono. Tuttavia questo cuore aperto dall’ascolto della Parola, li esorta ad invitare l’inaspettato compagno di viaggio a rimanere con loro. Dall’ascolto della Parola nasce e cresce la fede e la carità. «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» v. 29. E quando il maestro si mette a tavola con loro, ecco compie un gesto quello dello «spezzare il pane» v. 30.
È un gesto semplice e comune nelle nostre tavole, ma è il gesto con il quale i primi cristiani chiamavano la celebrazione eucaristica. Dio in sei giorni ha creato il mondo, il settimo giorno si è riposato, l’ottavo giorno, il primo giorno dopo il Sabato, rinnova il mondo, dando all’uomo un via di salvezza. Gesù compie un gesto semplice, così normale da sembrare banale a noi tutti: spezzare del pane. Ma questo pane è il suo corpo dato per la nostra salvezza. Nella tomba non troviamo un cadavere, ma il corpo di un vivente, su questa tavola ad Emmaus, finalmente i due discepoli hanno trovato quel corpo, di cui le donne avevano detto che era risorto. I loro occhi si sono aperti, ma lui sparisce (v.31). Se ci pensate bene, la scena del vangelo di oggi non n’è nient’altro che la celebrazione dell’Eucarestia con i due grandi momenti liturgici: la liturgia della Parola, e la liturgia dell’Eucaristia.
Se vuoi incontrare Gesù, allora bisogna andare a messa! Non per puro ritualismo, e neppure per la simpatia del prete o degli amici, solamente perché è nella celebrazione eucaristica che possiamo riconoscere Gesù che cammina accanto a noi, sempre, anche e soprattutto quando cadiamo nel baratro della nostra esistenza. Lui è la con noi, e con calma aspetta che lo riconosciamo, ecco il senso di essere membra dell’assemblea pasquale che celebra l’eucaristia.
(don Emanuele Spano')