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Riflessione 16 04 2020

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Riflessione del 16 04 2020 GIOVEDÌ FRA OTTAVA DI PASQUA

Vangelo Giovedì fra l'Ottava di Pasqua Lc 24,35-48
Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno.

Oggi il testo del Vangelo ci mostra uno spostamento sui personaggi. Siamo sempre nel contesto delle apparizioni di Gesù, ma se in questi giorni abbiamo potuto riflettere soprattutto sulle manifestazioni di Gesù alle donne, a Maria di Magdala, ai due discepoli di Emmaus. Oggi, come anche domani, la nostra attenzione si sposta sulle apparizione che il Risorto fa ai discepoli, prima della sua ascensione al cielo. I vangeli di questa settimana ci mostrano la pedagogia della Chiesa nel farci gustare il mistero pasquale, che ripeto è il cuore pulsante della nostra fede: «Se Cristo non fosse risorto la nostra predicazione sarebbe senza fondamento e vana la vostra fede» ( 1Cor 15,14) ci ricorda Paolo. La nostra fede deve corrispondere alla fede degli apostoli, che è la fede della Chiesa antica. Solitamente tendiamo a guardare alle strutture che caratterizzavano la Chiesa antica che a volte idealizziamo, e che cerchiamo di utilizzare come argomento nelle diatribe teologiche, specialmente fra le varie confessioni cristiane.

Tuttavia quando guardiamo alla Chiesa antica, ciò che conta in realtà è guardare alla fede accolta e vissuta. Per questo oggi vi invito a meditare sulla prima lettura. È tratta dagli Atti degli Apostoli, che ha lo stesso Luca come autore, lo stesso del Vangelo di oggi. Il brano in questione è il secondo discorso di Pietro che Luca riporta negli Atti. Questo discorso è l’espressione della fede pasquale degli apostoli che hanno vissuto a stretto contatto con Gesù, che sono stati testimoni della sua morte. Giovanni che accompagna Pietro è per tradizione univoca considerato il discepolo amato che era ai piedi della Croce (cfr. Gv 19,25ss).

Il brano di oggi ci può aiutare a comprendere il percorso che i discepoli di Gesù hanno compiuto, e anche noi che ci professiamo tali dovremmo compiere, per comprendere la Pasqua della Risurrezione di Cristo. Pietro nel suo discorso usa lo stesso metodo catechetico di Gesù risorto nello spiegare le Scritture ai discepoli di Emmaus.
Il cap. 3 degli Atti si è aperto con la guarigione di uno storpio. Ora il popolo osservando ciò era rimasto «fuori di sé per lo stupore» (v.11) e pertanto Pietro inizia a parlare. Nel brano di Emmaus, abbiamo trovato un Gesù che parte dall’Antico Testamento per ripercorrere la storia della salvezza fino al suo compimento: ossia la sua risurrezione.

Oggi nella prima lettura troviamo Pietro che fa la stessa cosa. Dunque, Pietro parte da Es 3,15 e dice infatti: «Uomini d’Israele … il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri», in questa maniera Luca pone l’opera di Mosè come archetipo di quella di Gesù. Poi il titolo di “Servo” con il quale viene affiancato il nome di Gesù. È una scelta tipica della primissima comunità cristiana, quella di riferirsi a Gesù non come Figlio di Dio [ouios tou Theou], ma come [pais] ossia figlio/servo. L’autore ci ricorda il carme del servo sofferente di Isaia (cfr. Is 52,13), servo che ha sofferto, ma che è stato glorificato: «il Dio di Abramo … ha glorificato il suo servo Gesù» (v.13). e che è stato glorificato ne è prova il fato che sullo storpio sia stato invocato il nome di Gesù per essere guarito (cfr. At 3,6).

Nel suo discorso Pietro afferma che Gesù è stato rinnegato dal popolo e dai capi «per ignoranza» (v.7). La fede va sempre alimentata, non si può ridurre ad un momento di semplice religiosità. Ecco perché è importante seguire i percorsi di formazione. Ecco perché è importante avere un contatto quotidiano con la Parola. Ecco perché è indispensabile cibarsi della liturgia della Chiesa che, con le sue parole e i suoi riti, ci fa fare di Dio. Con l’ignoranza si rischia, come per i discepoli di Emmaus, di avere Gesù accanto e non riconoscerlo. Il mistero pasquale ci lascia atterriti e tremanti, perché il Santo, il Giusto, l’Autore della vita, sembra rimanere schiacciato dalla morte e dal peccato, ma ecco che lo ritroviamo di nuovo vivo e glorioso, in una dinamicità che ci fa suoi fratelli, sue sorelle, e ci rende coeredi insieme a lui dei beni del Padre.

I titoli di Santo, di Giusto, di Autore della vita (v.14), ci trasmettono le coordinate della cristologia. Gesù non è un uomo qualunque. Non è un profeta fra i profeti, è il profeta che sta alla pari di Mosè (cfr. Dt18), anzi è di più: Gesù risorgendo è glorificato perché è Dio, poiché questi tre attributi sono attributi che spettano solo a Dio.
«Il Cristo doveva soffrire» (v. 18) è la ripresa della spiegazione per cui Dio ha dato un messia che sembra essere stato sconfitto, ma in realtà, la sua sofferenza era stata profetizzata da «tutti i profeti» (v.18). Per capire questa sofferenza che esprime la sofferenza espiatrice e vicaria di Cristo, Pietro fa riferimento a tutti i profeti, potremmo senz’altro confrontarci con i carmi del servo sofferente del testo di Isaia: 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53; oppure con altri testi che la Chiesa legge in chiave cristologica: Zac 12,10; Sal 22; 31; 35; 69. Cristo, tuttavia, non si sostituisce a noi nella sofferenza, ma come lui partecipa alla nostra sofferenza così noi siamo resi partecipi della sua sofferenza e delle sue conseguenze.

A questo punto Pietro esorta gli interlocutori e anche noi «Convertitevi … e cambiate vita» (v. 19). È la grande esortazione che il Vangelo ci fa (cfr. Mt 3,2; Mc 1,15). Non si può avere remissione dei peccati se non ci si è convertiti. Però questa conversione deve essere orientata a Cristo, per essere efficace, per ottenere la remissione dei peccati e la salvezza.
La conclusione del discorso petrino sottolinea una particolare “benedizione” «perché ciascuno di voi si allontani dalle sue iniquità» v. 26. Pietro continua a parlare al popolo per questo usa il voi. Gesù è un figlio di Abramo come lo sono gli uomini d’Israele. La benedizione che è stata concessa ad Abramo deve essere estesa a tutta l’umanità per mezzo di Gesù. Per questo motivo «Dio ha risuscitato il suo servo» (v. 26), cioè l’ha richiamato in vita e l’ha inviato «prima di tutto a voi», i primi destinatari del compimento dell’opera di salvezza di Dio devono essere proprio i giudei, come ci ricorda Paolo (cfr. Rm 1,16). La benedizione che Dio concede per prima agli israeliti e poi a tutta l’umanità consiste proprio nell’allontanarsi dall’iniquità.

La conversione non è di nostra iniziativa, la prima parola è sempre di Dio, è lui la fonte e l’origine della nostra conversione. Nelle apparizioni nessuno riconosce Gesù. Sicuramente Gesù pur conservando tutta la sua umanità è ora trasfigurato dalla risurrezione, ma ne le donne lo riconoscono e neppure i discepoli anche quando sono tutti gli apostoli presenti. L’iniziativa è sempre di Dio! Per questo nel Vangelo di oggi leggiamo «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45).

(don Emanuele Spano')


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