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Riflessione 17 03 2020

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Riflessione Vangelo 17 03 2020



Il testo del Vangelo di oggi è tratto dall’ultima parte del Discorso di Gesù sulla Chiesa e si conclude con la parabola del re misericordioso e il servo spietato, propria di Matteo.

Pietro, portavoce del gruppo dei discepoli, si avvicina a Gesù e gli rivolge una domanda relativa ai “limiti” del perdono. La disponibilità al perdono è implicita in Pietro, lui sa bene che deve perdonare, però si interroga sul limite quantitativo, perché è convinto che oltre un certo limite non sia possibile andare, che ad un certo punto la misura sia colma. Il limite che Pietro pone: “sette volte” (v. 21), e secondo lui si sta spingendo molto oltre quello previsto dalla prassi rabbinica che prevedeva il perdono “tre volte” per la medesima colpa. «Rabbi José ben Jehuda disse: “Se un uomo pecca una volta, due volte, o tre volte, essi lo perdonano; se pecca una quarta volta essi non lo perdonano”». Mostrando la sua disponibilità al perdono fino a sette volte, Pietro pensa di essere venuto incontro alle esigenze di Gesù. È necessario notare il termine che viene usato: “fratelli”; sta ad indicare il destinatario del perdono: si esprime così il tipo di relazione che deve regnare tra i membri della comunità.

Gesù nella sua risposta toglie ogni limite al perdono: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. Gesù insegna che non arriva mai il momento in cui il cristiano può dire: ho perdonato abbastanza, a questo punto non sono più tenuto a perdonare. C’è probabilmente qui un’allusione al libro della Genesi (4,24), al canto di Lamech, secondo il quale Caino si è vendicato sette volte, ma Lamech si vendicherà settanta volte sette. È la logica della vendetta senza limiti.

Viene così sottolineato il carattere gratuito del perdono e l’assoluta prontezza nel darlo. La ragione di questo atteggiamento sconcertante viene fornita dalla parabola del servo spietato (vv. 23-35).
Nella prima parte della parabola l’attenzione cade sulla misericordia del padrone nei confronti del suo debitore (v. 27). Il debito che il funzionario ha contratto con il suo padrone è enorme, basti pensare che il talento è un’unità di misura e un talento è circa 35/38 Kg di metallo prezioso; se fosse oro avremmo oggi circa 38.000 Kg (1g = 43,24 euro) di circa 1.643.120? miliardi di euro, e questi supplica per ottenere una proroga nel pagamento. Il padrone si muove a compassione e non si limita a concedergli la proroga richiesta, ma arriva all’estinzione del debito.

Nel secondo quadro il servo che ha ottenuto il condono del debito non è per niente disposto a seguire l’esempio del suo padrone, il suo cuore è duro, l’unica cosa che lo interessa è la riscossione del denaro che gli è dovuto, un’esiguità rispetto a quanto gli era stato condonato dal padrone.
Tutta la vicenda si conclude nelle parole del Signore (vv. 32-33). Con la mancanza di misericordia il primo servo ha perso tutto il beneficio ricevuto. Viene ricaricato del suo debito e messo in prigione.

La sentenza conclusiva (v. 35) presenta l’applicazione della parabola alla Comunità: Dio si comporterà allo stesso modo con quanti non perdonano di cuore il fratello. La ragione del perdono che si è tenuti ad accordare al fratello è la seguente “tutti siamo debitori insolvibili”, tutti davanti a Dio ci scopriamo irrimediabilmente peccatori e bisognosi di perdono. Dio ci accorda il suo perdono nella misura in cui esso viene partecipato ai nostri fratelli. Si scopre così tutto il valore della domanda contenuta nel Padre nostro (6,12 rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori) e della beatitudine sui misericordiosi (5,7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia).

I cristiani stanno gli uni dinanzi gli altri come uomini che vivono della misericordia del Padre. Loro compito è donarsi quel perdono di cui essi stessi per primi sono stati fatti oggetto.

Anche oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia


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