Menu principale:
Emergenza Corona Virus > Aprile 2020
Riflessione del 17 04 2020 VENERDÌ FRA OTTAVA DI PASQUA
Vangelo Venerdì fra l'Ottava di Pasqua Gv 21,1-14
Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce.
Il Vangelo di oggi è anche un’altra apparizione del Cristo risorto. Siamo nel capitolo 21 di Giovanni, e la pericope presa in considerazione ci presentata la pesca miracolosa sul lago di Tiberiade e la manifestazione di Gesù. Il quale si manifesta a sette discepoli, fra i quali ci sono: Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana, di quest’ultimo avevamo letto all’inizio del Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 1,45) e ora sta per vedere le cose grandi che il maestro al loro primo incontro gli aveva preannunciato (cfr. 1,50), i figli di Zebedeo e due discepoli. Sembra quasi di rivedere Gesù che chiama i primi discepoli (cfr.1,35). Il capitolo 21 nel Vangelo di Giovanni ha una sua particolarità, poiché il Vangelo di Giovanni tecnicamente sembra finire al v. 20,31, ed invece con l’espressione “meta tauta” resa dalla traduzione CEI “Dopo questi fatti” riprende il racconto, aggiungendo non un prolungamento della conclusione, ma un vero è proprio secondo epilogo.
Fra i discepoli che compaiono nel Vangelo di oggi, la figura predominante è certamente quella di Pietro e della sua fede sempre traballante; come la nostra del resto. Sappiamo da Paolo che il Signore è apparso per prima a Pietro (cfr. 1 Cor 15,5), e anche Luca ci da questa informazione (cfr. Lc 24,34). Nel Vangelo che oggi siamo invitati a meditare possiamo subito notare come i discepoli più vicini stentano a riconoscerlo. Anche le donne come Maria di Magdala, o i discepoli di Emmaus sulle prime non riconoscono Gesù. A Maria comunque basta che lui pronunci il suo nome per riconoscerlo, mentre Cleopa e compagno lo riconoscono nello spezzare il pane. Nella pericope di oggi, Gesù appare come al solito improvvisamente, ma i suoi discepoli come smarriti sembrano essere tornati alla vita di prima: un atteggiamento che ci ricorda il nostro quando preferiamo fidarci di più delle nostre capacità che delle promesse di Dio.
«Figlioli non avete nulla da mangiare?» (v. 5), la risposta è semplicemente «No». Allora Gesù esorta i discepoli intimoriti a buttare la rete dalla parte destra. Dobbiamo dirla tutta, ma perché questi discepoli l’hanno assecondato? Non sapevano chi fosse, «quella notte non avevano preso nulla» (v. 3), avevano provato a pescare tutta la notte senza nessun risultato. Tuttavia questo estraneo li esorta a buttare le reti di nuovo, e non solo ma addirittura dalla parte destra. In Luca, Pietro alla stessa esortazione di Gesù aveva risposto «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5). Nel brano di Giovanni Pietro, benché non abbia riconosciuto il Cristo, si fida. Inoltre, chi non è avvezzo al pescare con la rete non nota un dettaglio: buttare le reti dalla parte destra significa lavorare con il braccio sinistro, ciò può essere più difficile per chi è destrimano, specialmente se ha lavorato un’intera notte. La scena, come abbiamo accennato prima, richiama alla nostra memoria quella della chiamata degli apostoli come ce la presentano i Vangeli sinottici (cfr. Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-11).
Un altro elemento di questa pericope, su cui soffermarci è il comportamento di Pietro diverso rispetto al testo degli altri evangelisti. «Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: è il Signore!» v. 7, in questo momento i discepoli capiscono che la pesca non è frutto dei loro sforzi, ma della fedeltà alla Parola di Dio. Pietro non ha il minimo tentennamento. In Luca, invece, aveva reagito diversamente: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8), qui invece solo il pudore lo rallenta v.7, poi è una corsa. Di fronte l’amore non si rimane fermi, e neppure si fugge. Si va incontro correndo. Pietro aveva già visto il Risorto, lo dicevamo all’inizio, ma lo stesso verso finale del Vangelo odierno ci informa che era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli (v. 14). Pietro si sente amato, e ha capito che l’iniziativa è sempre di Dio. È Lui che ci chiama, è lui che per primo ci ama, e compie il mistero pasquale, per introdurci nell’intima relazione con il Padre, per realizzare il piano di salvezza per tutti noi.
Il numero di 153 grossi pesci (v. 11) ci da anche occasione per un ulteriore riflessione. Secondo Girolamo il numero153 indica il numero delle specie ittiche conosciute dagli antichi, ciò significa che la salvezza realizzata da Cristo con la sua morte e risurrezione non è solo per l’antica casa d’Israele, ma per tutta l’umanità. Agostino invece sottolinea come il numero 153 derivi dal numero 17. Sommando tutti i numeri fra loro fino al 17 la somma sarà infatti 153. Il numero 17 sarebbe la somma di 10 e 7. Dieci come sono i comandamenti di Dio e 7 i sacramenti e dunque la grazia. La dinamica del mistero pasquale ci fa entrare nell’intima relazione del Padre con il Figlio, relazione che non può più scindere la legge dalla misericordia. Per questo se il peccato ci rattrista, non ci rende schiavi, se siamo uomini nuovi, inseriti per l’appunto nella novità pasquale della morte e risurrezione. E per rimanere uomini nuovi Dio ci configura sul modello del Figlio, perché la morte e risurrezione di Cristo sia apportatrice di grazia lungo il cammino della nostra vita. E seppur la morte non sia inevitabili, per la corruzione del nostro corpo, questa non ha più alcun dominio su di noi.
Concludo richiamando alla nostra mente quanto Paolo insegna ai romani: «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo, dunque, siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rm 6, 3-5).
(don Emanuele Spano')