Parrocchia San Basilio Magno


Vai ai contenuti

Menu principale:


Riflessione 18 03 2020

Emergenza Corona Virus > Marzo 2020

Riflessione Vangelo del 18 03 2020



Dopo le beatitudini, il «discorso della montagna» propone una lunga sezione (Mt 5,17-48) che tratta la nuova visione della giustizia secondo l’annuncio evangelico di Gesù: l’intero brano è composto di cinque blocchi minori, detti comunemente «antitesi», perché tutte introdotte con la formulazione “vi è stato detto … ma io vi dico”. Di per se non si tratta di una negazione con quanto detto nell’Antico Testamento, ma c’è un salto di qualità.

L’intera composizione è introdotta dalla pericope proposta nel Vangelo di oggi (vv. 17-20) che offre i criteri interpretativi, la chiave di lettura per comprendere nella giusta luce gli insegnamenti successivi.

Il primo equivoco possibile è quello di pensare ad una abolizione dell’Antico Testamento e della sua religiosità, mentre si tratta di completamento e di pienezza (“Non son venuto per abolire, ma per dare compimento” v. 17). L’intervento di Dio non porta ad una riforma legislativa, per cui si cambiano le norme, ma poi tutto resta come prima; il problema è l’uomo, non le leggi. L’antica legge è buona e resta valida (“finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge” v. 18), per cui è bene che anche un cristiano la osservi e la insegni (“Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” v. 19). Ma se l’uomo non è reso capace di vivere la legge, nessuna riforma, per quanto intelligente possa essere, avrà mai successo. Dio dunque interviene per trasformare il cuore dell'uomo, per renderlo capace di accogliere pienamente il dono di Dio, per abilitarlo ad una vita nuova. Questa è una buona notizia!

Se il Vangelo fosse solo una legge più severa e restrittiva, non potrebbe essere una buona notizia: e questo è il secondo drammatico equivoco possibile. Al contrario, il compimento portato e realizzato da Gesù è il perfezionamento dell’uomo, il suo coinvolgimento totale nel progetto divino. L’evangelista Matteo indica abitualmente questa realtà con il termine «giustizia»: la persona è chiamata a realizzare il progetto di Dio. In questo senso dunque la giustizia dei cristiani supera quella dei farisei (v. 20).

I religiosissimi farisei mettevano tutto il loro impegno nella minuziosa applicazione della legge per raggiungere davanti a Dio uno stato di onesta autosufficienza, per cui al termine della giornata potevano dire: «Sono a posto, ho fatto il mio dovere; sono in credito con Dio = Dio ha un debito con me». Questa “giustizia” consiste quindi nel dare a Dio una parte di attenzione e in un’appagante osservanza delle norme, per lo più negative: «Non uccidere, non commettere adulterio, non spergiurare...»; così un fariseo, facendo l’esame di coscienza, può dire: «Non ho ucciso, non ho commesso adulterio, non ho spergiurato; quindi sono a posto».

Ma, secondo Gesù, un cristiano non può ragionare così, perché l’incontro con il Cristo ha portato la pienezza nella sua vita e tutto il suo essere, tutto quello che fa e tutto quello che pensa è diventato di Cristo ed è nuovo. Non esiste più una divisione fra impegni religiosi e vita normale: tutta la vita è piena di Cristo. La “giustizia” cristiana è dunque una nuova relazione con Dio, resa possibile e donata dal Signore Gesù, per cui il cristiano si affida con gioia al Padre convinto che «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Anche oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia


Torna ai contenuti | Torna al menu