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Riflessione 19 03 2020

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Riflessione Vangelo del 19 03 2020



La Liturgia nella festa di San Giuseppe offre la possibilità di scegliere tra due testi evangelici: Mt 1,16.18-21.24 oppure Lc 2,41-51. Trovandoci nel ciclo A dell’Anno liturgico optiamo per il primo.

Matteo, scrive per una Comunità cristiana proveniente dal giudaismo, conoscitrice del pensiero biblico, per questo incentra la nascita di Gesù come realizzazione della profezia di Isaia (“Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” Is 7,14), evidenziando la vocazione di Giuseppe come collaboratore al disegno salvifico dell’incarnazione di Dio nella storia umana.

Nella genealogia (Mt 1,1-17) per trentanove volte ricorre il verbo generare, sempre impiegato all’attivo: “Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli …”, ma nello slancio finale (v. 16), citando come padre Giuseppe, l’evangelista interrompe la catena attiva di una normale generazione umana e introduce ??e????? “fu generato” (passivo ‘teologico’, cioè un artificio letterario usato spesso nella Bibbia per attribuire un’azione a Dio, senza citarlo per nome, esprime, quindi, una ‘esclusiva’ azione di Dio) per segnalare l’inaudita nascita divina di Gesù nel seno di Maria.

Il racconto si apre con il ‘problema’ della gravidanza di Maria, già promessa sposa a Giuseppe; noi siamo al corrente che ciò è opera dello Spirito Santo, ma Giuseppe lo ignora.
La prassi matrimoniale giudaica dell’epoca prevedeva due fasi; la prima era quella di un contratto nuziale (’erusîn) tra gli sposi che continuavano a vivere ognuno a casa propria per circa un anno; la seconda era letteralmente quella dell’'elevazione’ (nissû’în), quando la sposa andava a vivere con il marito e solo allora poteva avere con lui normali rapporti coniugali. Maria e Giuseppe nonostante si trovavano nella prima fase erano già vincolati da diritti matrimoniali ed una eventuale infedeltà sarebbe stata sanzionata come adulterio e punita secondo la legge. Il nostro racconto, com’è tipico delle narrazioni bibliche, è conciso e non ci dice nulla su eventuali dialoghi tra Maria e Giuseppe, o se Giuseppe le abbia creduto, comunque sia, Giuseppe, non vuole esporla all’infamia di un processo (“deigmatizein”, esprime una pubblica dimostrazione), e decide di «rinviarla in segreto» (v. 19).

Matteo, più che Luca, insinua il pericolo che Maria corre di essere accusata di adulterio; all’epoca di Gesù la pena era la lapidazione (Gv 8,5; cfr. Dt 22,22-24). Qui cogliamo la sovversione teologica, o meglio l’ironia di Matteo. Se Giuseppe fosse stato ‘giusto’ secondo i parametri della Toràh giudaica, avrebbe dovuto denunciare pubblicamente il presunto adulterio di Maria (Nm 5,11; Dt 22,23-34); ma la ‘giustizia’ nel vangelo matteano esprime altro.

Origene (teologo 185-253 d.C.) ritiene che Giuseppe non sospetti Maria di infedeltà, ma conosca il mistero che si sta compiendo in lei e, giusto qual è, cioè timorato di Dio, non voglia far suo ciò che appartiene a Dio. Licenziare Maria non significa tanto allontanare Maria da sé, bensì allontanare se stesso dal mistero di Maria. La nostra attenzione non deve concentrarsi su come ha reagito Giuseppe, ma che egli è presentato come un uomo riflessivo, intento a prendere una decisione, accetta il piano di Dio sottomettendo le sue programmazioni alla volontà di Dio, si allinea con i giusti dell’Antico Testamento, quelli pronti a far proprie le decisioni divine, come il ‘giusto’ Noè (cfr. Gen 6,9). Il rispetto di Dio e la amorevole esecuzione dei suoi progetti “costituiscono la giustizia” di Giuseppe.

Dio interviene per mezzo del suo angelo in “sogno” e gli prospetta un modo nuovo e originale di relazionarsi a Maria e al nascituro.

Il sogno di Giuseppe non si tratta di una visione notturna, di una allucinazione. Il sogno è un’immagine impiegata nella Bibbia per indicare una manifestazione del Signore. È un modo per tradurre in linguaggio umano un’esperienza spirituale, un’illuminazione interiore. Giuseppe ha certamente avuto una rivelazione, da parte di Dio, dei disegni che aveva concepito su di lui.

È così che Matteo presenta la splendida figura di Giuseppe, vero modello di obbedienza biblica. Non ha rinunciato alla propria intelligenza; prima di dare la propria adesione alla volontà del Signore ha voluto capire. Per essere autenticamente umana, infatti, la risposta alla voce del cielo dev’essere sempre pienamente consapevole e libera.

Accettando di dare il nome al bambino di Maria, Giuseppe adempie il compito giuridico che spetta oggi al padre che firma per la nascita di un bambino: con questo gesto, il figlio diventa tale a tutti gli effetti giuridici e riconosciuto come membro di quella famiglia. Giuseppe, imponendo il nome a Gesù, iscrive con ciò stesso il bambino nella sua famiglia. Giuseppe sarà nei suoi confronti padre anche se non genitore, Come padre eserciterà nei suoi confronti la patria potestà e avrà verso di lui diritti e doveri.

Gesù non è di fatto il figlio di Giuseppe e quindi non poteva essere discendente di Davide: il riconoscimento e l’accoglienza nella famiglia di Giuseppe permettono a Gesù di essere un legittimo discendente del casato reale di Davide: «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide...».

In questo tempo di pandemia Giuseppe ci educa a fidarci dell’azione di Dio nella storia, noi siamo chiamati ad essere persone giuste come ha realizzato la giustizia lo sposo di Maria.

Anche oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia


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