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Riflessione 20 03 2020

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Riflessione Vangelo del 20 03 2020



Il dialogo con uno scriba si inserisce nella serie di discussioni sostenute da Gesù con i capi del popolo dopo il suo ingresso trionfale a Gerusalemme e dopo aver cacciato i mercanti dal tempio (cfr. cc. 11-12). Lo scriba si presenta a Gesù per consultarlo intorno al primo e più grande comandamento della Legge. A differenza di Matteo, che presenta questo intervento in un clima polemico (cfr. Mt 22,34-46), Marco rileva le buone intenzioni dello scriba, ammirato dalle risposte di Gesù e desideroso di essere illuminato (vv. 28.32). Alla sua simpatia fa eco l’elogio finale del Maestro: «Non sei lontano dal regno di Dio» (v. 34).

Nella domanda posta dallo scriba a Gesù: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» (v. 28), è sottesa una questione molto dibattuta nel mondo rabbinico del tempo. La Legge di Mosè si era sempre più appesantita in precetti, spiegazioni, interpretazioni e reinterpretazioni. I “rabbî” si domandavano quale fosse il comandamento da porre al di sopra di tutti gli altri. C’erano, infatti, precetti nella Legge, ripartiti in 248 comandi positivi e 365 divieti. Visto questo enorme numero di precetti era normale domandarsi se c’era una gerarchia, se c’era un comandamento che superava in importanza gli altri.

La domanda dello scriba lascia trasparire che molti volevano camminare sulla via della salvezza. Nel “Talmùd” (è un grande libro che contiene diversi testi di commento alla legge ebraica, una raccolta di storie. È, la guida della vita ebraica tradizionale) si legge il seguente aneddoto: «Un pagano si recò da “rabbî Shammai” e gli disse: Sono pronto a convertirmi alla religione di Jhwh, se mi riassumerai tutta la legge nel breve tempo in cui sarò capace di stare diritto su un solo piede! Shammai vide nella richiesta un insulto alla ricchezza della Legge e lo cacciò via a bastonate. Questi però non si perse d’animo e andò a bussare alla porta di “rabbî Hillel”. Il maestro lo stette ad ascoltare, lo fece drizzare su un solo piede e disse: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. In questo comando è riassunta tutta la Legge. Il resto è solo spiegazione”. E concluse: Ora metti giù il piede e cammina con Jhwh» (Shab 31a). L’attenzione al prossimo come adempimento della volontà di Dio aveva quindi anche nel giudaismo rabbinico una tradizione.

Gesù risponde alla domanda dello scriba unendo insieme due citazioni che nella Torah si trovano in due libri diversi. La prima costituisce l’inizio dello “Shemàh”: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (vv. 29-30). Con queste parole il pio israelita si impegnava a corrispondere all’amore che Dio aveva manifestato nei confronti del suo popolo liberandolo dalla schiavitù d’Egitto e contraendo con esso un patto di alleanza. Questo comandamento/preghiera ricordava all’israelita l’esclusività di Dio: nel suo cuore non ci dovevano essere altre divinità. Gesù, citando questo comandamento, ricorda che nel cuore dell’uomo il primato spetta a Dio, è Dio che deve stare in cima alla scala dei valori.

Gesù indica come «primo» il comandamento dell’amore verso Dio, ma subito dopo lo collega a quello dell’amore del prossimo citando Lv 19,18: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (v. 31). Il rabbinismo antico includeva nel comandamento dell’amore del prossimo solo il compatriota giudeo. Gesù unisce questi due comandamenti, e afferma con chiarezza che per lui «prossimo» non è solo il fratello di religione o di razza, ma ogni uomo, in particolare l’uomo che si trova in stato di necessità (cfr. Lc 10,29-37). Gesù aggiunge che il prossimo va amato «come se stessi», cioè senza mezze misure e scusanti.
L’insegnamento di Gesù rappresenta la saldatura definitiva tra l’amore di Dio e quello del prossimo. Egli indica nell’amore” verso il prossimo il banco di prova e la verifica dell’amore verso Dio. Lo scriba, accogliendo la parola di Gesù, ne riconosce là profonda verità, e trae come conseguenza la superiorità di questo amore a Dio e al prossimo su tutti i riti sacrificali che si compivano nel tempio: amare Dio e il prossimo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici (cfr. v. 33). Per questo Gesù dichiara che il suo interlocutore non è lontano dal regno di Dio.
L’annuncio di questa pagina evangelica è semplice e chiaro l’amore per l'uomo è legato all'amore di Dio, è da lui che si impara «come» amare e «quanto» amare. Non si può dire di amare Dio se non si ama il fratello con il quale si è gomito a gomito, anzi l’amore verso il fratello è il termometro che misura e verifica l’autenticità del nostro amore per Dio. Si tratta di due comandamenti strettamente legati l’uno all’altro: non si può dire con verità di amare Dio senza amare il prossimo, né presumere di amare il prossimo dispensandosi dai doveri e dagli atteggiamenti che esprimono l’amore per Dio. Nella prima lettera di Giovanni si legge: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “lo amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (IGv 4,19-21).

Anche oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia


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