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Riflessione 21 04 2020

Emergenza Corona Virus > Aprile 2020

Riflessione del 21 04 2020 MARTEDÌ DELLA II DI PASQUA

Vangelo Martedì della II settimana di Pasqua Gv 3,7-15
Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.

Continua il dialogo di Gesù con il maestro della legge, e non cessa l’incomprensione davanti al mistero rivelato. Nicodemo non comprende la meraviglia della realtà cristiana che Gesù gli sta annunziando. Con le categorie umane è impossibile entrare nelle realtà divine, necessita un’illuminazione: “nascere dallo Spirito”.

Il nostro evangelista gioca nuovamente con parole a duplice senso: il termine greco “pneuma” può indicare sia il “vento” che lo “spirito”. Il vento è una realtà imprevedibile, misteriosa, allo stesso tempo lo è la rinascita cristiana. Essa è una realtà presente, operante, viva… anche se inafferrabile. Dalle conoscenze dei suoi studi dell’Antico Testamento, Nicodemo doveva sapere che l’esistenza umana non ha senso fuori il mistero di Dio, questo incontro doveva esserci tra Dio e gli uomini.

“In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto” (v. 11)
Attraverso il plurale che viene usato, “noi parliamo”, Gesù sta rivelando all’umanità quanto ha contemplato rivolto verso il Padre (Gv 1,1-2), c’è un’esperienza personale e diretta, una relazione di amore e di unità con il Padre, questo rende “vera” la testimonianza del Figlio.

Non possiamo lasciarci sfuggire la finezza tipica giovannea; il verbo “eorákamen” (“abbiamo veduto”) è al perfetto, quindi dobbiamo letteralmente tradurre: “ciò che noi continuiamo a vedere” cioè, questo “essere rivolto verso il Padre” da parte del Logos, è uno stato permanente, è una continua relazione di amore, per questo Gesù è un testimone ineguagliabile e gli uomini, compreso Nicodemo, ancora non è giunto a questa pienezza di fede per questo non viene accolto.

Il Figlio, pur continuando ad avere la sua dimora nel Padre, si è incarnato per comunicare agli uomini la vita divina. La pienezza della rivelazione si manifesterà sulla croce quando sarà tutto compiuto e Gesù verrà innalzato nella gloria, perché chiunque crede in lui, abbia la vita eterna (v. 15). L’evento scandaloso e sconcertante della salvezza per mezzo della croce guarisce l’umanità dal suo male, come gli ebrei un tempo nel deserto furono guariti dai morsi dei serpenti velenosi guardando il serpente di bronzo che Mosè aveva fatto innalzare quale segno di vita (Nm 21,4-9). Attenzione, il confronto che Giovanni propone, non va posto tra Gesù e il serpente di bronzo, ma sull’“elevazione” e la “salvezza” che ne usufruiscono coloro che sanno oltrepassare le apparenze del segno e guardano nella fede alla misericordia e potenza di Dio. Qui l’autore, utilizzando il simbolismo del serpente di Mosè, vuole superare l’interpretazione giudaica per rivolgere lo sguardo al Cristo crocifisso, che attraverso un vero atto di fede comunica la vita eterna (cf. 19, 37).

Il vangelo oggi desidera dare slancio alla nostra spiritualità perché tante volte viviamo nel «deserto» della vita. La croce è il luogo dove Gesù manifesterà al mondo la sua obbedienza radicale e la sua unità con il Padre e rivelerà, con il sacrificio della sua vita, l’amore che Dio nutre per ciascuno di noi.


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