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Riflessione 24 03 2020

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Riflessione 24 03 2020 Vangelo Martedì della IV settimana di Quaresima

A differenza dei vangeli sinottici che raccontano un unico viaggio di Gesù a Gerusalemme, Giovanni ci racconta di almeno tre presenze del Figlio di Dio nella città santa in particolare durante le feste, infatti i capitoli 5-10 sono dominate dalle feste ebraiche: “Sabato” (5,1-47; cf 5,9b), “Pasqua” (6,1-72; cf 6,4), “Capanne” (7,1-10,21; cf 7,2), “Dedicazione” (10,22-42; cf 10,22). Il quarto evangelista narra la presenza di Gesù alle feste de “i Giudei” per spiegare la visione giovannea della presenza di Dio tra il suo popolo.

L’ambiente dove il miracolo si svolge è presso “la porta delle pecore” (v. 2), un luogo riservato agli agnelli destinati ai sacrifici del vicino tempio (cf. Ne 3,1.32; 12, 39). Una piscina con cinque portici, dal nome Betesda (= casa della misericordia), oggi ben localizzata in Gerusalemme da scavi archeologici accoglieva costantemente sul suo bordo una moltitudine di “infermi, ciechi, zoppi e paralitici che attendevano il moto dell’acqua prodotto dall’angelo” (v. 3). Una tradizione popolare, infatti, aveva creato la diceria che l’acqua veniva mossa da un angelo (in origine da un incaricato al culto del dio Asclepio-Serapis) e aveva la virtù di guarire qualsiasi malato che per primo vi si fosse immerso, molto probabilmente il movimento dell’acqua era dato dalle correnti nel momento in cui si immetteva nuova acqua dentro le piscine.

Giovanni racconta la scena dando un significato teologico. La folla dei malati, che si trova inattiva e senza vita presso la piscina, rappresenta parte dell’umanità. È una moltitudine avvilita da opere di morte, che attende la salvezza da elementi miracolistici, come l’acqua. Nei cinque portici sotto cui giace il popolo l’evangelista, probabilmente vi legge, il simbolo della legge di Mosè (cf. 5,45: i cinque libri della Thorà) che, mal vissuta, schiaccia e soffoca lo spirito e la vita. Gesù, davanti a questa folla sofferente che non può muoversi, si avvicina, si colloca tra di essa e prende l’iniziativa, individuando nel gruppo colui che è più bisognoso ed emarginato. Gli altri possono aiutarsi o hanno qualcuno che si prende cura di loro, invece il caso di quest’ultimo è così disperato che non solo egli non può aiutarsi da sé, ma si è rassegnato al suo stato. Il paralitico è tratteggiato con poche pennellate: l’uomo è di per sé vicino alla salvezza, attende da “trentotto anni”, ma è tanto malato da non aver speranza di guarigione.

Da sempre si è speculato sul significato di questi “trentotto anni”, e con ragione perché quando il quarto vangelo presenta dati numerici, fa sempre supporre qualche intenzione più profonda. Qual era, in questo caso, il suo riferimento?

Probabilmente, abbiamo qui un’allusione ai “trentotto anni di peregrinazione del popolo di Dio nel deserto”. I trentotto anni furono aggiunti ai due che già Israele aveva trascorsi pellegrinando nel deserto a causa della loro mancata docilità, stando alla storia come ci è presentata nel Deuteronomio (2,14), in attesa che “scomparissero tutti gli uomini di quella generazione”.

Il paralitico della piscina sarebbe il simbolo del popolo d’Israele che, dopo la sua lunga peregrinazione, avrebbe trovato in Gesù il suo salvatore che lo avrebbe introdotto nella terra della promessa. Dopo 38 anni di speranza la promessa si era adempiuta.

Gesù, conoscendo la sua schiavitù fisica e morale, gli domanda: “Vuoi guarire?” (v. 6). La domanda è provocatoria perché nella mente di Gesù essa ha lo scopo di fargli riconoscere e confessare il suo stato di assoluta impotenza.

Eppure di fronte a questa domanda il paralitico non risponde, gli dice soltanto: “io non ho nessuno che mi immerga nella piscina, quando l’acqua si agita …”(v. 7). Non dice chiaramente di “voler guarire” dalla sua situazione di infermità, di “volerne uscire fuori”, sembra quasi che preferisca rimanere in quella condizione.

Il paralitico deve tirar fuori la sua sofferenza perché Gesù lo possa sanare fuori e dentro. Questa domanda rivolta al malato è la domanda cruciale che Gesù rivolge sempre ad ogni uomo se desidera guarire dal suo peccato ma purtroppo, spesso, come il paralitico non c’è risposta perché in fondo si preferisce assecondare i propri desideri.

A questo punto la parola del Profeta giunge inattesa e chiarificatrice: “Alzati, prendi la tua barella e cammina” (v. 8). La salvezza non viene tanto dall’acqua o dalla sottomissione formale alla legge mosaica, ma solo da colui che ha l’acqua della vita.

Il racconto della guarigione del paralitico, così come è stato espresso dall’evangelista, probabilmente aveva lo scopo di correggere un pericolo presente nella Chiesa giovannea, quello cioè della presenza inquinante, nel rito del battesimo, a cui è legato il brano, di forme superstiziose o di residui di culti pagani. Solo l’esperienza con la persona di Gesù è in grado di trasformare l’uomo malato in un uomo sano e libero, capace di dominare tutto ciò che lo rende schiavo. Con la forza della sua parola, Gesù apre una strada di speranza per l’uomo, che sperimenta la liberazione dal male e la gioia della libertà nello spirito, che è attività e vita operosa. Questo gesto di amore gratuito e preveniente di Gesù nei riguardi dell’uomo bisognoso, gli scatenerà contro una violenta opposizione.

Infatti, è immediata la reazione dei giudei che disapprovano il gesto di Gesù compiuto di sabato e, chiamando il guarito gli dicono: “è sabato e non puoi portare la tua barella” (v.10). Ma … visto che oramai è guarito, perché, quest’uomo deve portarsi ancora dietro la sua barella? A cosa gli può servire?

La barella gli ricorda lo stato da cui è uscito per non ritornarvi nuovamente. Infatti quando Gesù lo incontra gli dice: “Non peccare più perché non ti accada qualcosa di peggio” (v. 14).

Siamo di fronte alla credenza generale al tempo di Gesù secondo la quale ogni malattia o disgrazia aveva la sua origine in qualche peccato. Gesù non ha mai condiviso questo modo di pensare, lo sappiamo dalle dichiarazioni fatte da lui a proposito della guarigione del cieco nato (c. 9). Quale significato hanno dunque le sue parole? Il “peggio” per Gesù non è cadere in una nuova situazione di infermità fisica quanto rimanere esclusi dalla salvezza. Gesù dice a quest’uomo guarito di guardare il suo lettuccio e, da questa esperienza dalla quale è venuto fuori, non cadere nel peccato perché il vero rischio è essere esclusi dal Regno.

Oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi


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