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Riflessione del 24 04 2020 VENERDÌ DELLA II DI PASQUA
Vangelo Venerdì della II settimana di Pasqua Gv 6,1-15
Gesù distribuì i pani a quelli che erano seduti, quanto ne volevano.
Questo testo della moltiplicazione dei pani, è uno dei pochi brani del IV Vangelo parallelo ai Sinottici.
Giovanni conserva un racconto tradizionale e non lo modifica particolarmente: proprio per questo non vi si trova il consueto linguaggio simbolico, tipico della narrazione giovannea; tuttavia il quadro generale stesso ha un valore simbolico, ricco com’è di rimandi biblici.
I primi versetti (vv. 1-4) offrono l’ambientazione della scena: una zona disabitata dall’altra riva del mare di Galilea, Gesù è presentato sulla montagna, nel periodo della “festa giudaica di Pasqua”. Questi particolari ci offrono un corretto riferimento simbolico: il racconto di Giovanni, infatti, intende alludere proprio all’evento dell’esodo, al monte Sinai, al popolo raccolto, al ruolo di Mosè che nutre il popolo nel deserto.
Ricordiamo che all’inizio del capitolo quinto (Gv 5,1-9), Gesù aveva guarito il paralitico alla piscina di Betzaetà, in questo modo dà inizio al nuovo esodo verso il Regno: ha reso l'uomo capace di camminare con le proprie gambe e, quindi, lo mette in condizione di orientarsi alla sequela del Maestro. Adesso, con l’evento del pane dato alla folla nel deserto anticipa la nuova Pasqua; il Figlio di Dio guida alla libertà, Lui dona la vera salvezza. Ora, rimanendo nel quadro simbolico dell’esodo con la manna, Gesù sfama il popolo con un pane dal cielo: questo è il “segno” che a Giovanni interessa evidenziare, è il quarto nella serie di sette segni (dunque, quello centrale!).
«Dove possiamo comprare il pane?»
Si coglie l’inopportunità di confrontare il nostro testo con gli altri Sinottici, perché ciascuno fa emergere, dall’evento della moltiplicazione dei pani, alcuni particolari che servono per costruire la teologia per il proprio racconto. In Giovanni, la cosa che possiamo subito evidenziare è che nessuno fa notare a Gesù la situazione di bisogno della folla, “è lui” che se ne accorge per primo. Dio è attento alle esigenze del suo popolo, non occorre che nessuno gliele dica.
Ecco allora il problema: c’è bisogno di pane e non ce n’è. Gesù pone la domanda a Filippo che, insieme ad Andrea, nel IV Vangelo sono persone con caratteristiche pratiche, che cercano più le strategie umane rispetto all’adesione totale a Gesù. Il primo interrogativo che il Maestro sta ponendo è “la fame” dell’uomo, c’è la necessità non solo di un pane materiale, pur ineludibile, ma della ricerca della Parola di Dio (Dt 8,3).
La domanda gioca un ruolo importante nel vangelo di Giovanni, è basata sull’avverbio “Da dove?” (in greco: “póthen”) che solitamente viene usata per designare l’origine stessa di Gesù e della salvezza (cfr. Gv 2,9; 4,11; 9,29-30; 19,9).
Giovanni, attraverso questi piccoli segnali ci dice che Gesù è già cosciente di quale soluzione prendere; quindi spiega, che quella domanda era provocatoria e serviva solo per verificare la reazione del discepolo.
«Che cos'è questo per tanta gente?»
Visto che non si hanno mezzi per recuperare il cibo per tutta la folla, ci potrebbe essere un’altra soluzione: la “condivisione”. Viene presentato un ragazzino che ha portato con sé una merenda composta da cinque pani d’orzo e due pesci. Ma una domanda retorica sottolinea vistosamente la difficoltà: “Ma che cos’è questo per tanta gente?”. La disponibilità generosa di condividere il poco posseduto resta comunque inadeguata: eppure Gesù accoglie la proposta ed opera un segno. Questo ragazzino è disposto a condividere “tutta” la sua merenda, non dona a Gesù solo una parte ed il resto lo tiene per se, quasi preoccupato che non gli rimanesse nulla. Questo fanciullo mette a disposizione di Gesù tutto quanto possiede, un po' come la vedova al Tempio gettò “due spiccioli”, non ne mise uno nel tesoro e l’altro lo tenne per i suoi bisogni, li diede entrambi (Mc 12,41ss). È possibile che noi possediamo poco, pensiamo di non avere particolari capacità o pregi, quindi stiamo un passo indietro e diciamo: “ma io cosa so fare? Gli altri sono più bravi!”. Il “trucco” sta nel mettere quella mia sola capacità nelle mani di Dio, saprà lui come moltiplicarla per il bene di molti.
La gente viene fatta sedere: il verbo greco “anapesêin” indica la posizione assunta comunemente durante i banchetti, quando i commensali mangiavano distesi sul fianco. Questo particolare viene sottolineato nel rituale della cena pasquale ebraica perché tale posizione richiama un contesto conviviale, non solo di festa ma, soprattutto di libertà.
“C’era molta erba in quel luogo”.
La regione era deserta, ma non significa necessariamente che fosse brulla o non coltivabile, era una zona dove non c’erano abitazioni vicine. L’erba è il richiamo della primavera quindi il tempo in cui si celebra la Pasqua. È possibile, inoltre, che l’abbondanza dell’erba alluda a Gesù come “pastore”, che conduce il popolo in pascoli verdeggianti (cfr. Sal 23,2) e in ottime pasture (cfr. Ez 34,14).
Non possiamo non notare una notevole omissione rispetto ai sinottici: Gesù non alza gli occhi al cielo, come per domandare al Padre il pane miracoloso. Questo dono viene fatto certamente in comunione col Padre, ma esso significa l’amore di Gesù stesso per i suoi (13,1). Nel discorso egli dichiarerà: “Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo” (6,51).
Infatti, altro particolare interessante, nel IV Vangelo è Gesù che distribuisce i pani, probabilmente per evidenziare che è lui stesso il pane ai convitati: “la mia carne”. Nei sinottici questo incarico è affidato ai discepoli, ai quali Gesù, in tal modo, insegna a condividere il pane della parola e dell’eucaristia; da ciò quei racconti acquistano una “dimensione ecclesiale” che Giovanni lascia intuire attraverso il radunarsi di una moltitudine di uomini che diventano commensali attorno a un banchetto in cui Gesù è “l’unico donatore”. Con questo particolare che gli è proprio, il narratore lascia trasparire chiaramente che il pane è soltanto figura del vero cibo che è Gesù stesso.
“Questi è davvero il profeta!”
L’azione di Gesù è raccontata, con alcuni verbi essenziali, secondo il modello delle celebrazioni eucaristiche: “Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì”. In particolare il verbo che indica la preghiera di ringraziamento (eucharist?sas) richiama la formula tradizionale della Cena: infatti, la riflessione della comunità primitiva ha fatto di questo evento prodigioso una rilettura sacramentale, come simbolo e anticipo del Pane eucaristico. Con alcuni ritocchi redazionali sia Giovanni che gli altri evangelisti mettono in correlazione il banchetto nel deserto con la cena pasquale, cosicché il gesto messianico del dono del pane viene realmente ripresentato e rivissuto in ogni celebrazione ecclesiale dell’Eucaristia e ogni cristiano può sentirsi compagno dei cinquemila sfamati nel deserto.
Il dono, anche se piccolo, attraverso il rendimento di grazie, diviene sufficiente per tutti “finché ne vollero”, cioè fino alla sazietà; mentre nel deserto la manna era misurata e limitata, qui il pane è sovrabbondante al punto che gli avanzi riempiono addirittura “dodici” cesti: ancora un simbolo numerico per richiamare il popolo di Dio, che può essere l’antico popolo delle dodici tribù, ma anche il nuovo popolo dei dodici apostoli. Il pane donato da Cristo è per tutti e soddisfa ciascuno.
La gente interpreta il segno fatto da Gesù, e lo riconosce come il “profeta che deve venire nel mondo!”. Hanno capito davvero il significato di quello che Gesù ha fatto o hanno semplicemente apprezzato il fatto di aver mangiato gratuitamente?
Quanto ascolteremo nei prossimi giorni fa propendere per la seconda spiegazione: la folla, infatti, vorrebbe farlo re, dal momento che offre da mangiare gratis. Ma Gesù non accetta un simile messianismo: in fondo era una tentazione diabolica trasformare le pietre in pani per attirare seguaci. Egli si ritira e si nasconde (anech?resen): sulla montagna Gesù non siede più ora, vi si rifugia per impedire una scelta sbagliata del popolo.