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Riflessione del 25 04 2020 SABATO DELLA II SETTIMANA DI PASQUA
Vangelo Sabato della II settimana di Pasqua
SAN MARCO (Festa) Mc 16,15-20
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo.
Celebriamo oggi la festa dell’evangelista Marco. Le notizie a suo riguardo sono limitate: secondo la testimonianza di Papia di Gerapoli - riportata da Eusebio di Cesarea -, di Giustino, di Ireneo e di Tertulliano, Marco fu discepolo di Pietro. Si può identificare - anche se vi è qualche difficoltà in merito - con Giovanni detto Marco citato in Atti: “Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera” (At 12,12.25; 15,37). Di lui sappiamo che sua madre, Maria, ha accolto nella sua casa la Chiesa nascente, infatti da lei si recò Pietro dopo la liberazione miracolosa (cf. At 12,12); inoltre Marco - che era cugino di Barnaba (cf. Col 4,10) - fu compagno di Paolo nel primo viaggio missionario (cf. At 12,25), poi se ne distaccò (cf. At 13,13 e At 15,37s) e si unì, successivamente, a Pietro (cf. 1Pt 5,13) a Roma e si mise al suo servizio durante la prigionia del capo degli apostoli (Col 4,10), e infine si pose di nuovo a disposizione di Paolo durante la prigionia di quest’ultimo (2 Tim 4,11).
Nell’antichità cristiana il Vangelo di Marco non fu molto valorizzato perché, messo a confronto con Mt e Lc, si riteneva fosse incompleto. Non scomparve, com’è accaduto per altre fonti (es. Fonte Q) assorbite dai testi dei Vangeli più completi; ma si sentì il bisogno di rimediare alla sua presunta lacunosità, aggiungendo una nuova conclusione (16,9-20), per non chiudere con lo sbigottimento delle donne all’annunzio dell’angelo presso la tomba vuota (16,8), ma con l’apparizione del Risorto come negli altri sinottici. Quando nell’Ottocento il II Vangelo fu individuato come più antico, dove Mt e Lc hanno attinto per costruire i loro racconti, la situazione si capovolse: dal binario morto sul quale era rimasto a lungo parcheggiato, Mc passò ad occupare una posizione chiave.
Come abbiamo detto, il testo originale di Marco si conclude in 16,8 con le donne e avendo ascoltato le parole del “giovane vestito di una veste bianca” che annunciava la risurrezione e vanno via prese dalla paura. Questo finale, volutamente lasciato dall’autore Marco, per far riflettere su quanto accaduto; ed invece di sorprendere e destare ammirazione, ha creato nei primi cristiani una specie di inquietudine, come se fosse tronco, per questo si è sentita la necessità di aggiungere una conclusione più “chiara” e facile.
Il testo che la liturgia oggi ci offre, è tratto proprio da quest’ultima parte. In questi versetti conclusivi vengono esposti gli elementi principali della missione della Chiesa.
Il testo presenta somiglianze con ICor 15,5-7; Mt 28,16- 20; Gv 20,19-23; Lc 24,36-49; At 1,6-8 e altri passi che sarebbe troppo lungo passare in rassegna dettagliatamente, perché ci farebbero studiare gli elementi che definiscono la missione cristiana.
Ci troviamo di fronte ad uno schema abbastanza chiaro:
a) INVIO
“Andate in tutto il mondo (kosmos)
e predicate il vangelo a ogni creatura (ktisis)”.
Troviamo un contesto universale, un unico popolo e non popoli nella loro diversità (compreso Israele: cfr. Mt 28,19). Sorge l’umanità, emerge il cosmo aperto ai missionari.
b) GIUDIZIO
“Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo,
ma chi non crederà sarà condannato”.
Una struttura simile la troviamo in Giovanni: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (20,23). Il riferimento a Gesù (credere in Lui = la fede) e l’inserimento nella Chiesa (il battesimo) sono ora mezzi fondamentali di salvezza. Diventa chiaro che la salvezza si salda alla fede-battesimo; la condanna, invece, nasce dalla mancanza di fede. Forse potremmo sintetizzare con le parole dell’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani dove spicca il carattere salvifico della fede: “Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede.” (Rm 1,16-17).
c) SEGNI
“E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.
Restano, infine, i “segni” ecclesiali.
I segni menzionati si riassumono in quattro: “esorcismi e guarigioni” (citati all’inizio e alla fine del testo), “glossolalia e immunità dai serpenti e veleni” (citati al centro). In un mondo pericoloso (morso, infermità), i discepoli del Signore saranno capaci di diffondere la Parola in ogni lingua, in una specie di Pentecoste continua (cfr. la glossolalia di At 2), superando così il potere del diavolo (esorcismi) e aiutando gli altri a vivere (guarigioni).
In questo modo, annunciare il vangelo diventa azione “trasformante”: i discepoli del Signore hanno qualcosa da offrire sul cammino di questo mondo.