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Riflessione 26 03 2020 Giovedì della IV settimana di Quaresima
Vangelo
Gv 5,31-47
Vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza.
Dopo la guarigione del paralitico alla piscina di Betzata (Gv 5,1-16) viene impiantato un processo contro Gesù perché ha operato di sabato. Nei versetti 17-30 del capitolo quinto, sostituito con la solennità dell’Annunciazione, Gesù comincia a parlare in propria difesa ponendo al centro una vecchia controversia giudaica. Nella Genesi (2,2-3) si dice che “Dio riposò il sabato”. Dall’altra parte “Dio benedisse il settimo giorno” cioè “Dio sostiene l’universo”, quindi Dio è sempre attivo. Come conciliare questa attività incessante di Dio con il riposo del sabato? La soluzione si può così sintetizzare: la proibizione di qualsiasi attività in giorno di sabato non doveva essere applicata allo stesso modo a Dio e agli uomini, perché Dio opera sempre.
In questo contesto Gesù rivendica il suo agire perché siccome il “Padre opera sempre, anch’io opero” (5,17).
I suoi avversari compresero perfettamente la portata della risposta di Gesù, avendo chiamato Dio “Padre suo”, si era equiparato a Dio. Gesù ribadisce che la sua attività non è indipendente rispetto a quella del Padre.
A difesa della sua attività sabbatica, e siamo nel Vangelo di oggi, gli vengono chieste delle testimonianze. Nella prassi ebraica la testimonianza di una persona a proprio favore, non è sufficiente in quanto può essere interessata, occorreva presentare dei testimoni la cui parola fosse affidabile (cf Dt 19,15).
In primo luogo dev’essere chiaro che la testimonianza di Gesù, sebbene fatta a proprio favore, è valida. Infatti, alla sua testimonianza è associato “un Altro” che è il Padre (a questo si riferisce il v. 32). Ma Gesù vuole andare oltre invocando la testimonianza di quanto loro stessi, i Giudei, hanno udito e visto. Gesù porta quattro testimonianze:
La testimonianza di Giovanni il Battista (v. 33-35)
Evidentemente Gesù non aveva bisogno della testimonianza del Battista, ma i Giudei si perché credessero in Gesù. La descrizione che il Figlio di Dio fa del Battista è quella di “una lampada che arde e risplende”, richiama alla mente l’idea di una lampada che diventa testimonianza per il Messia (“Esulteranno di gioia i suoi fedeli. Là farò germogliare la potenza di Davide, preparerò una lampada al mio consacrato”. Sal 131,16b-17). Questa lampada risplendente è apportatrice di gioia. I Giudei erano pronti a rallegrarsi ma, come mostra il processo in corso contro Gesù, la loro gioia è stata di breve durata. Non sono stati capaci di spingere lo sguardo oltre la luce riflessa del Battista per vedere colui al quale egli rendeva testimonianza. Hanno preferito la lampada alla luce, il testimone al testimoniato che era Gesù.
La testimonianza delle opere di Gesù (v. 36)
Un testimone superiore al Battista sono le opere di Gesù. Queste opere hanno carattere di “segno” con particolare attenzione nel IV Vangelo. Il “miracolo” si concentra sull’evento e colui che lo riceve, il “segno” rimanda a colui che lo ha compiuto. Non a caso, scrive Giovanni, che i segni furono dati: “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,31). Dunque, le opere di Gesù attestano che è stato mandato dal Padre e che egli non costituisce una seconda autorità indipendente dal Padre.
La testimonianza della Parola del Padre (v. 37-38)
Ci avventuriamo su un terreno molto più oscuro. Come può essere intesa e valutata questa testimonianza data dal Padre? Si tratta d’una testimonianza che non può essere percepita da un osservatore neutrale, ed è accessibile alla sola fede. Siamo sulla linea delle affermazioni della prima lettera di Giovanni (5,9-10). Appunto per questo i giudei non possono accettare la testimonianza data dal Padre, perché, senza la fede in Gesù, questa testimonianza è semplicemente impercettibile.
La testimonianza della Scrittura (v. 39-40)
L’ultima testimonianza è offerta dalla Scrittura dell’Antico Testamento di cui il Battista è l’epilogo. Per i giudei era un dovere studiare la Scrittura ed era considerato il mezzo più sicuro per garantirsi il possesso della vita eterna.
E appunto questo contesto e questa convinzione mettono maggiormente in risalto l’errore tragico in cui erano caduti i giudei. Essi studiavano le Scritture per garantirsi il possesso della vita eterna; e le Scritture parlano di Gesù come unico datore della vita, ed essi tuttavia lo rigettano!
Gesù e i suoi avversari hanno punti di vista del tutto diversi. L’idea che si sviluppa nei vv. 41-44 gravita attorno al concetto di “gloria” (dóxa), riferito anzitutto alla gloria che l’uomo cerca o riceve da parte di altri uomini. Il senso è quello della “stima”, dell’“onore”, come appare per esempio in una parabola di Gesù: “Quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, affinché quando arriva colui che ti ha invitato ti dica: «Amico, sali più in alto». Allora sarà per te un onore (dóxa) di fronte a tutti i commensali” (Lc 14,10).
Le aspirazioni giudaiche sono puramente umane; il loro mondo è “antropocentrico”; le loro preoccupazioni sono la “buona fama”, la “stima” e “l’onore”, la “gloria” che gli altri gli attribuiscono.
Ora, questo onore che viene dagli uomini, nel nostro testo, è in opposizione alla “dóxa” che proviene da Dio (v. 44; cfr. v. 41), e il termine potrebbe avere un senso esistenziale più vicino al concetto biblico di “gloria”. In ebraico la “gloria” indica la “ricchezza interiore di un essere”, etimologicamente il suo “peso”. Ciò che in Dio è costitutivo, la creatura lo riceve in forza della sua relazione col Creatore; è questo il “peso” che la fa stare eretta nella sua singolare dignità.
Il mondo di Gesù è teocentrico; e per questo i giudei non Io accolsero. Avrebbero accolto invece qualsiasi altro che fosse venuto in nome proprio, perché si “sarebbe messo al livello delle aspirazioni umane”, cioè al livello su cui si muovevano essi.
«Ricevere la gloria gli uni dagli altri» (piuttosto che da Dio). I profeti rimproveravano a Israele di appoggiarsi sulle sue istituzioni - in particolare il Tempio - come garanzia di salvezza, mentre la parola di Dio esigeva la “conversione del cuore” e una “condotta retta”. È possibile che ancora oggi si può essere incapaci di sentire, anche nella Chiesa la voce di Gesù e di vedere nelle opere le opere di Gesù. Ma può capitare che nei sacramenti, nelle attività Parrocchiali, nelle attività caritative, negli itinerari formativi, nei servizi … si cerca vedere soltanto le opere nostre perché andiamo alla ricerca della nostra “dóxa”.
Oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi