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Riflessione del 27 04 2020 LUNEDÌ DELLA III SETTIMANA DI PASQUA
Vangelo Lunedì della III settimana di Pasqua
Gv 6,22-29
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.
Il discorso sul “pane della vita” (Gv 6), iniziato venerdì della seconda settimana di Pasqua, ci accompagnerà ancora per alcuni giorni.
Abbiamo lasciato Gesù che, dopo la benedizione, distribuisce il pane alla folla e questa, avendo trovato in lui uno strumento che soddisfa i propri bisogni, cerca per farlo re (6,15). Ma il Maestro smaschera il senso sbagliato di questa ricerca: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (6,26). Si cerca Gesù non perché, comprendendo che la moltiplicazione dei pane è un segno, si vuole entrare in comunione con colui che il segno lo ha compiuto, ma perché Gesù può essere la fonte che esaudisce i propri desideri. È possibile che anche noi, come la folla di quel tempo, cerchiamo Gesù non per vivere una relazione di amore, ma come assicuratore dei miei sogni, come polizza nelle mie necessità. Egli, allora, si ritira sul monte (6,15) e indirizza la gente a guardare il suo insegnamento con gli occhi di Dio: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna” (6,27).
Si vede chiaramente come l’atteggiamento della folla è simile agli Israeliti nel deserto, che pur vedendo i segni non capiscono e pensano di piegare o utilizzare Dio per i propri scopi. Il verbo “cercare”, che ricorrerà nei capitoli seguenti, può avere una valenza positiva, ma anche negativa: può esprimere, cioè, un atteggiamento narcisistico, di persone a caccia di soddisfazioni ed emozioni spirituali. Nei sinottici Gesù aveva ammonito i discepoli a non preoccuparsi dei vestiti e del nutrimento, perché la preoccupazione primaria doveva essere la ricerca del regno di Dio (Mt 6,33s.; Lc 12,29s.). La fuorviata e fuorviante ricerca della folla, insieme all’interrogativo “Rabbi, quando sei venuto qui?”, indica una formale curiosità e la percezione che per loro Gesù è un semplice maestro. Non riescono a decifrare i segni della presenza di Dio in lui.
Gesù ribadisce che “c’è un lavoro da fare”, è quello di cercare il “cibo che rimane” e che conduce alla vita eterna: è la vita stessa di Dio, piuttosto che preoccuparsi (“operare/lavorare”) per un “cibo che perisce”. Questo “operare” nel lessico giovanneo indica adesione, impegno, fatica. Questo pane che non delude, ma vivifica per sempre, verrà donato da Gesù in quanto Figlio dell’uomo: questo titolo cristologico rinvia al momento della croce, da cui sgorgheranno tutti i doni della salvezza.
Mentre essi si preoccupano di fare “opere” (la mentalità è quella di compiere precetti della Legge), Gesù afferma che “l’unica opera da fare” è il “credere” radicalmente in lui, scommettere la propria esistenza sulla sua persona.
In altre occasioni infatti Gesù stesso aveva affermato che “suo cibo è fare la volontà del Padre”, ma però precisa che l’opera di Dio non consiste nel dover fare qualcosa per procurarsi questo cibo, ritenendo che sia l’uomo a procurarsi la salvezza, facendo le opere che Dio vuole; ma significa “aderire” all’opera che lui compie. E l’opera di Dio è “credere in colui che egli ha mandato”. Ecco allora un’indicazione precisa sul pane che dura per la vita eterna, che conduce cioè alla vita eterna, che ci sostiene nel nostro cammino: è la fede in Gesù, mandato dal Padre.