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Riflessione 28 03 2020 SABATO IV SETTIMANA DI QUARESIMA
Vangelo
Gv 7,40-53
Il Cristo viene forse dalla Galilea?
“Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (7,37-39a).
Sono alcune versetti che precedono il testo del Vangelo di oggi. Il contesto lo conosciamo, è quello della festa dei Tabernacoli giunti all’ultimo giorno. Assume un significato particolare: allude all’ultimo giorno di Gesù che compirà la sua opera e donerà ai fratelli il suo Spirito (19,30).
Pensiamo di ritrovarci a Gerusalemme durante questo ultimo giorno di festa e partecipare alla prima delle tre cerimonie, quella della “libagione dell’acqua” (seguono la Cerimonia della Luce e il Rito di guardare il Tempio).
Al mattino di ciascuno dei sette giorni una processione guidata da sacerdoti e Leviti che cantavano, accompagnati da una festante folla di popolo, scendeva alla Piscina di Siloe per attingere acqua in un recipiente d’oro. Accompagnata dal popolo in festa e da squilli del “shòfar” (un piccolo corno di montone utilizzato come strumento musicale), la processione tornava nell'area del Tempio passando dalla Porta dell'Acqua. Secondo la letteratura rabbinica, la Porta dell'Acqua aveva un significato escatologico. Rabbi Eliezer ben Jacob la identificava con la “porta meridionale” di Ez 47,1-5, attraverso la quale passa l'acqua della vita che sgorga da sotto la soglia del Tempio. Giunta sul piazzale del Tempio, la processione sfilava attorno all'altare cantando i Salmi 113-118 (l’Hallel). Quando si cantavano le parole del Salmo 118,1: “Celebrate il Signore, perché è buono”, e ancora al v. 25: “Dona, Signore, la tua salvezza; dona, Signore, la tua vittoria!”, si agitava in aria un mazzo di rametti composti da: mirto (Hadas), palma (Lulav) e salice (Aravah), legato con un rametto di cedro (Etrog).
Giunti presso l'altare, il sacerdote di turno versava l'acqua di Siloe e del vino in due diverse coppe poste sull'altare facendo in modo che l'acqua e il vino debordassero dalle coppe sull'altare. Al settimo giorno della festa la processione girava attorno all'altare sette volte.
L'associazione dell'acqua con la celebrazione metteva la festa in relazione con il dono della pioggia.
Zaccaria 14 stabilisce questo legame, ma anche associa la festa dei Tabernacoli alla fine dei tempi.
In questo cerimoniale dell’acqua unito all’attesa del Messia, Gesù grida di “rivolgersi a lui per ricevere il suo Spirito”. La sete dell’umanità è illimitata e non può avere altra acqua che la pienezza di vita: “Chi è capace di Dio, niente che sia meno di Dio potrà riempirlo”.
Di fronte al pronunciamento di queste parole nell’ora più suggestiva della festa, la moltitudine reagisce con una varietà di opinioni discordanti. Alcuni sono entusiasti di lui e riconoscono che egli è un profeta. Altri professano di avere in mezzo a loro, nella persona di Gesù, il Messia. Altri ancora si scandalizzano della sua umile origine galilaica, consapevoli che il Messia deve nascere, come affermano i testi profetici, nel villaggio di Betlemme in Giudea e dal casato di David (cf. 2Sam 7,12-16; Sal 89,4-5; 132,11; Mi 51-2; Ger 23,5-6). La folla, davanti al Maestro, è divisa tra coloro che vogliono esaltarlo e quelli che desiderano arrestarlo. Questa divisione era già stata sottolineata dall’evangelista in precedenza (7,12), con il tentativo di arresto (7,30), tentativo fallito perché l’ora del Padre non coincide ancora con quella degli uomini. Giovanni anche qui gioca nel testo con la sua “voluta equivocità”: egli, nonostante tutto quello che si pensa sulla origine nazaretana di Gesù, sa bene, come afferma anche la Scrittura, che Gesù è nato dalla stirpe di David e la sua patria è Betlemme di Giudea.
Nel frattempo, le guardie, che erano state mandate prima da Gesù per arrestarlo, tornano dai loro capi a mani vuote. Nel vederle venire in quel modo, questi chiedono: “Perché non lo avete condotto?” (v. 45). Il dialogo ora si fa vivace e drammatico, con serrate domande e risposte: “Nessun uomo ha mai parlato così” (v. 46), rispondono le guardie. Gesù è così superiore a tutti, anche ai suoi potenti nemici, che le guardie non possono non riconoscere la grandezza del Maestro e manifestare una certa ammirazione per lui. Quest’ultima affermazione delle guardie è così forte, che i capi, esasperati, rinfacciano loro di essere state sedotte e plagiate da un impostore: “Vi siete lasciati ingannare anche voi? C’è forse qualcuno tra i capi e i farisei che ha creduto in lui?” (v. 48). Le autorità giudaiche esprimono un parere circa l’opinione del popolo: “Quanto alla folla, che non sa nulla della legge, è maledetta!” (v. 49).
Il successo che Gesù riscuote tra le persone è dovuto, per i capi, solo all’ignoranza di queste. Non si pensa minimamente che egli è la Verità e la vera Legge di vita. A guardar bene le cose, sono i responsabili dei giudei che non conoscono la legge, tanto che uno di loro, Nicodemo, dimostra con coraggio l’illegalità del loro comportamento: “La nostra legge condanna forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere che cosa ha fatto?” (v. 51). Essi, cioè, avendo già deciso l’uccisione di Gesù e cercando ogni occasione per eseguire il loro progetto, hanno condannato il Nazareno contro la legge di Mosè, che richiede prima di tutto un regolare processo (cf. Lv 19, 15; Dt 1, 16-17; 19, 15-20).
Nicodemo, che era stato da Gesù di notte (3,2) e si era aperto alla sua parola, è il solo che chiede di procedere secondo giustizia. La legge vuole che si ascolti Gesù e si valuti la sua missione. Ma i capi, forti della Scrittura, che non pone l’origine del Messia in Galilea, passano oltre la protesta di un loro collega e gli replicano: “Sei forse anche tu galileo? Studia e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta” (v. 52). L’oscurità dell’origine di Gesù, la semplicità della sua vita di Nazareth, è uno dei motivi per cui non si dà credito a Gesù. Eppure, nel villaggio di Nazareth, il seme nascosto si era preparato a fruttificare. Nella vita oscura e quotidiana della Galilea, circondato da persone che spesso non lo capivano a fondo, Gesù ha fatto una cosa grande, quella di farsi uomo tra gli uomini.
Le discussioni che sorgono dalla diversità di opinione a riguardo del Cristo non si risolvono se non c’è da parte di tutti un sincero e profondo desiderio di essere illuminati; il che purtroppo si avvera raramente giacché si è tentati a far prevalere ciascuno la propria posizione. E sulla vera identità di Cristo soltanto la fede può portare all’unione.
L’evangelista ora può chiudere questa parte dello scontro tra Gesù e le autorità giudaiche, facendo percepire già al lettore che la vita del Maestro di Nazareth è ormai volta verso l’epilogo della croce.
Oggi, alle 12 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi