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Riflessione 29 03 2020

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Riflessione 29 03 2020 DOMENICA V SETTIMANA DI QUARESIMA

Vangelo (Gv 11,1-45)
Io sono la risurrezione e la vita

Con il cap. 11 si è ormai prossimi alla conclusione della prima parte del vangelo di Giovanni, chiamato anche “libro dei segni”. La risurrezione di Lazzaro è il vertice di questi segni, perché porta alla confessione di fede in Gesù come vita e risurrezione. L’importanza che Giovanni accorda a questo segno è evidente perché sarebbe la causa scatenante della decisione da parte del Sinedrio di eliminare Gesù (Gv 11,53: “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo”).
Il testo è notevolmente lungo e permeato di ricchezze, evidenzieremo pertanto, alcuni tratti fondamentali.

“Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato” (v. 1).
Innanzitutto si sottolinea il tema della “fraternità”: più volte la relazione fraterna tra Maria, Marta e Lazzaro è esplicitata … “ripetitiva”. L’indicazione però è voluta. Gesù opererà il dono della vita all’interno di questa famiglia di fratelli. E “la Chiesa che viene in qualche modo rappresentata attraverso questa famiglia”, la Chiesa vista come la comunità dei “fratelli-amici” di Gesù che credono nella risurrezione e nella sconfitta della morte.

Un secondo particolare è suggerito dal nome del luogo, “Betània”. Esso indicherebbe “casa della sofferenza”. In questa casa però “Dio aiuterà”, “Dio soccorrerà” (è il significato del nome ‘Lazzaro’) attraverso l’azione-sofferenza di Gesù. Lì la morte sarà vinta. Come se non bastasse, all’inizio del Vangelo, troviamo un’altra località di nome “Betània” al di là del Giordano (Gv l,28ss.) in cui si ricorda il giorno dell’incontro di Gesù con i primi due discepoli. Se diamo per assodato che il discepolo senza nome insieme ad Andrea era Giovanni, autore del IV Vangelo, allora comprendiamo che quel luogo è rimasto indelebile per chi ci sta raccontando questi eventi, perché lì conobbe Gesù e lì divenne discepolo. Il legame spirituale tra le due località che portano il nome “Betània” appare evidente: “il Signore ci chiama a diventare suoi discepoli per condurci alla vita, per strapparci dalla sofferenza e donarci la sua gioia, che deriva dalla fede nella risurrezione, nella vittoria sulla morte”.

Le modalità con le quali questa amicizia si esprime non corrispondono sempre alle nostre attese e ai nostri schemi; quando Gesù viene a sapere che l’amico è malato “si trattiene volutamente due giorni”! Questo particolare incomprensibile dice in realtà una domanda che spesso sgorga nel nostro cuore: “perché, Signore, non intervieni, perché sembri non dare ascolto alle nostre richieste?”. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda qui che le nostre vie non sono le vie del Signore e che i suoi pensieri sono assai più alti. “Non sempre il suo agire è comprensibile, ma nella fede si giunge a riconoscere che tutto questo è salvezza e bene per noi”.

"Poi disse ai discepoli: Andiamo di nuovo in Giudea!” (v. 7).
Questo brano fa da “transizione” tra l’introduzione e l’incontro con le sorelle di Lazzaro; esso è una discussione sul senso del viaggio/cammino: egli ottiene dal Padre tutto perché è disposto a morire pur di essere obbediente, perché egli desidera realizzare il progetto del Padre.

Gesù esprime questo con le immagini del “camminare nel giorno”, poiché nella luce del giorno non si inciampa, ma solo nel buio della notte. Appare la consapevolezza che le ore del giorno finiranno, cioè che il destino di morte lo attende, ma questo non può impedirgli di compiere la sua missione (vv. 9-10).
Le “12 ore” di Gesù sono, dunque, il tempo della sua missione, il tempo che lui è in mezzo al suo popolo “Se uno cammina di giorno non inciampa, se uno cammina di notte inciampa…”
La luce per Gesù è compiere l’opera del Padre. La stessa luce coinvolge ogni credente: anche noi stiamo nella luce se viviamo la missione che il Padre ci dona da compiere. Scrive san Francesco di Sales “Sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l'artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso” (Introduzione alla vita devota, 1,3). Come ci ha appena detto san Francesco di Sales, noi spesso vogliamo vivere una missione che non è nostra, per questo non viviamo bene e produciamo poco. Non camminiamo nel giorno di Dio, ma nel nostro giorno che è il giorno dei nostri progetti e … diventa notte.

Il dialogo si arricchisce poi di una osservazione di Gesù, dettata dalla paura dei discepoli di andare a morire. In sostanza Gesù ricorda loro che non devono aver paura di morire. “La vera paura non è il morire, ma l’essere separati da Cristo”, il peccato mortale che ci priva della vita eterna.

Tommaso detto “Didimo”, che ritroveremo la settimana dopo la Pasqua di Gesù, rappresenta il punto di vista dell’uomo generoso, disposto anche a morire per un ideale, capace di sacrificarsi per l’amico; eppure a Tommaso questa sua generosità non basterà, ma bisognerà che si apra alla fede che è riconoscere che la morte di Gesù genera per noi la vita eterna.

“Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro” (v. 17).
L’incontro con Marta si verifica fuori del villaggio, nel quale Gesù non entrerà. Sembra strano che Gesù dopo un viaggio così lungo poi si ferma negli ultimi cento metri; ma il significato è chiaro: “in quel villaggio, si continua a pensare alla morte come a una realtà definitiva che sconfigge ogni progetto di vita”. Gesù non può condividere questo atteggiamento, perché egli è il “testimone di un Dio che dà la vita ai morti”. Per Gesù la morte non è l’ultima parola sull’uomo, perché l’ultima parola è solo l’amore potente di Dio. Ecco perché non entra nella “casa del lutto”.

Il dialogo tra Marta e Gesù è uno dei vertici del Nuovo Testamento e rappresenta la fede della Chiesa nella Pasqua di Cristo. La Chiesa non si limita a credere che alla fine dei tempi risorgeremo, come del resto pensavano anche i giudei. Noi abbiamo una convinzione radicale: la morte è già sconfitta in Cristo Gesù. La fede in Cristo è già partecipazione a questa vittoria. La Chiesa non si limita ad una vaga speranza, ma confessa la sua fede cristologica che motiva anche la sua fede nella vita eterna.

“Se credi, vedrai la gloria di Dio” (v.40)
Marta, che rappresenta in questo momento la fede della Chiesa, si incarica di andare a chiamare Maria. Sembrerebbe che essa dica una menzogna, dicendole che Gesù la sta chiamando, ma è la verità profonda. “Ogni persona che ha incontrato la vita, diventa testimone per l’altro di questo incontro”, diventa tramite della vocazione di Dio alla fede.

Maria stava seduta in casa, circondata dal cordoglio di quelli che erano venuti a condividere il suo dolore. La sua postura corporea è indice chiaro del suo atteggiamento interiore: per lei la morte è l’unica solidarietà che l’uomo può dare di fronte alla morte è solo il cordoglio, il soffrire insieme. Ma questo non è vero; se Maria uscirà da quella casa ed entrerà nell’ottica di fede essa capirà che c’è anche un’altra solidarietà nel dolore: “lo sperare insieme”!

Il pianto di Maria e dei giudei che erano con lei è un pianto scomposto, il pianto disperato dell'uomo che non crede e che vede solo il volto mostruoso della morte. Il verbo greco indicato per questo pianto, è il verbo “klàio”, che noi tradurremmo con “strepito”, “pianto a dirotto”. Anche Gesù condivide il nostro dolore di fronte alla morte, perché anch’egli è solidale con gli uomini nel dolore. Ma il suo dolore, pur essendo profondissimo (Giovanni per due volte insiste sul turbamento profondo di Gesù), è un dolore colmo di speranza. Ciò viene segnalato dal verbo usato per Gesù: “dakrýo”. Questo verbo indica il versare lacrime, ma in modo composto e silenzioso. Paolo scriverà che noi siamo “sconvolti, ma non disperati, provati, ma non distrutti” (cfr. 2Cor 4,7ss.).

“Scioglietelo e lasciatelo andare” (v.44)
I quattro giorni della morte di Lazzaro segnalano, attraverso il simbolismo del numero quattro (le quattro direzioni della terra/punti cardinali), il dominio universale della morte, alla quale nulla si sottrae. Marta, la sorella del defunto, ricorda questo trionfo della morte attraverso l’allusione al fetore: “Signore, manda già cattivo odore, perché è di quattro giorni”. La risposta di Gesù a Marta è più profondamente l’invito insistente del Signore alla sua Chiesa, perché di fronte alla morte continui a credere e perché attraverso la fede Dio manifesti la sua gloria, la sua presenza nella vita: “non ti ho detto che se tu credi vedrai la gloria di Dio?”. Sarebbe banale ritenere che la frase si esaurisca soltanto nella promessa del miracolo che sarà effettivamente compiuto da Gesù; quel miracolo non è fine a se stesso, ma è un “segno”, un rimando ad un agire di Dio più grande e diverso. Anche per noi oggi la frase di Gesù a Marta rimane valida: se di fronte alla morte di una persona cara rimaniamo nella fede vera, Dio ci rivelerà la sua gloria. Questo dandoci una certezza intima della risurrezione nostra e della persona cara e soprattutto garantendoci il suo aiuto, la sua forza, la sua gioia per affrontare le giornate dure che seguono il lutto.

Davanti alla pietra rotolata, prima dell’ordine impartito al cadavere di Lazzaro, Gesù rivolge una preghiera stupenda al Padre. In questa preghiera di lode e di ringraziamento egli afferma di sapere che il Padre gli dà sempre tutto, che ascolta ogni sua richiesta. II Figlio pertanto è in perenne rendimento di grazie, è eucaristia eterna a Dio Padre.

La voce potente che si eleva sulla tomba di Lazzaro è figura della voce di Dio quando alla fine dei tempi richiamerà tutti i morti alla vita. Lazzaro che esce dalla tomba ancora bendato e coperto dal sudario con i segni della morte. La sua risurrezione non è per sempre, è solo un segno. Gesù, invece quando uscirà dalla tomba lascerà lì dentro il sudario e le bende, non ne avrà più bisogno perché egli, risorgendo, vince la morte per sempre.

Il suo ordine di sciogliere Lazzaro dalle bende è un chiaro invito a ciascuno di noi a collaborare alla sua opera di liberazione dell’uomo, a porre anche noi gesti che diano vita e libertà, non morte e schiavitù. Letteralmente in greco si dice: “??sate a?t?? ?a? ?fete a?t?? ?p??e??”, “scioglietelo e permettete che egli cammini”, “mettetelo in condizione di camminare da solo” (v. 44). È questa la prassi di una vera comunità cristiana che crede nella risurrezione: aiutare gli uomini a vivere, a camminare, a diventare responsabili della propria vita, a vivere nella volontà di Dio (in ebraico il ‘camminare’ è metafora della vita morale, del cammino spirituale).

Oggi, alle 9.00 celebrerò la divina Eucaristia in comunione con tutti voi


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