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Riflessione 30 04 2020

Emergenza Corona Virus > Aprile 2020

Riflessione del 30 04 2020 GIOVEDÌ DELLA III SETTIMANA DI PASQUA

Vangelo Giovedì della III settimana di Pasqua
Gv 6,44-51
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

Nella sinagoga di Cafarnao Gesù proclama solennemente: “Io sono il pane della vita” (v. 35), e precedente aveva identificato se stesso con il pane: “il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (v. 33). Queste affermazioni suscitano tra i giudei presenti una mormorazione di come Gesù presenta se stesso.

L’obiezione che gli muovono gli ascoltatori è la stessa che blocca anche gli abitanti di Nazareth: sono convinti, infatti, di conoscerlo, sanno che è il figlio di Giuseppe e immaginano di conoscerne il padre e la madre. Deducono, quindi, che non può essere “disceso dal cielo”: lo riconoscono come uno “cresciuto normalmente” in una famiglia comune. Eppure i segni che Gesù compie devono servire proprio a mostrare che egli è veramente l’inviato di Dio.

L’intervento di Gesù lo possiamo dividere in due parti.

1. Nella prima parte Gesù ribadisce con forza la sua stretta unione al Padre (vv. 44-46) ed è incentrata sulla citazione di un versetto biblico: “E tutti saranno ammaestrati da Dio (didaktòi theû)” (v. 45). È una frase tratta da Is 54, uno splendido poema che celebra il rinnovo dell’alleanza nuziale fra YHWH e il popolo d’Israele dopo l’esilio. Fra le varie promesse che il Signore rivolge alla sua sposa/popolo, c’è anche l’augurio del v. 13: “Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore (limmudê YHWH) e grande sarà la prosperità dei tuoi figli”. Il profeta intendeva dire che, dopo la tremenda esperienza dell’esilio, gli israeliti impareranno dal Signore e saranno docili al suo volere: lo stesso termine “limmud” (discepolo) qualifica l’atteggiamento del Servo di YHWH (Is 50,4 tradotto in italiano con “iniziato”) e designa il giusto comportamento dei figli di Israele che non si ribellano, ma sono pronti ad accogliere la formazione. Nella sua citazione, però, Giovanni elimina l’espressione “tuoi figli” (riferita a Israele) e, quindi, sulla bocca di Gesù la frase profetica assume una connotazione “universalistica”: “tutti saranno discepoli di Dio”.

Quella folla, rifiutando il Figlio di Dio, dimostra di non far parte dei discepoli di YHWH anche se credono di esserlo. Gesù afferma che, per poterlo accogliere in modo autentico, bisogna essere “attirati” dal Padre. Dio ha mandato il Figlio nel mondo (cfr. Gv 3,17) e ora attira gli uomini verso di lui, perché vadano a lui e lo accolgano: ma bisogna lasciarsi attirare! Dio propone, non impone a forza. Lo stesso verbo “attirare” ritornerà in seguito sulle labbra di Gesù, quando prometterà di attirare tutti a sé, una volta innalzato da terra (cfr. Gv 12,32): egli ha la consapevolezza che il Padre gli ha dato tutto nelle mani (cfr. Gv 13,3) e, quindi, propone con ferma decisione la sua persona come fonte della vita e come mediatore necessario anche per la risurrezione.

2. La seconda parte afferma la propria relazione con la vita: «In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna» (v. 47). Gesù si è presentato come l’unico rivelatore del Padre e, per questo motivo, capace di dare la vita al mondo. Perciò si definisce come “il pane della vita” (v. 48) e “il pane vivo disceso dal cielo” (v. 51). Ma la condizione per accedere a questo pane è “credere”: non è da intendere in modo generico, bensì indica la relazione di fiducia nei confronti di Gesù, riconoscendolo come l’autentico Figlio del Padre. Solo così si può avere la vita “eterna”.
Solitamente quando si usa l’aggettivo “eterno” si intende un tempo illimitato; ma nel linguaggio giovanneo indica la “pienezza”. Quindi, la vita eterna non è solo “una vita che non finisce”, ma soprattutto “una vita buona”, un’esistenza completa e realizzata, una vita veramente “umana” e “piena”. L’alternativa è quella della sopravvivenza: nel deserto, infatti, gli antichi padri mangiarono la manna ed essa fu un beneficio divino, perché permise loro di sopravvivere in quella difficile situazione. Ma non permise loro di vivere in pienezza, non li portò alla vita “eterna”.
Tuttavia la manna fu un modo con cui Dio rivelò la sua intenzione di nutrire in profondità le aspirazioni dell’uomo: fu un segno che deve essere interpretato e compreso. Giovanni intende compiere proprio un atto di interpretazione teologica: il pane che discende dal cielo non è la manna in sé, ma ciò che la manna significava. Dunque il nutrimento che Dio dona all’umanità, e non più al solo Israele, è un altro tipo di pane ed è suo Figlio in persona.
Questa è la pretesa di Gesù: con la formula solenne “Io sono” egli si mette alla pari di YHWH, affermando di avere la vita in se stesso e di aver la possibilità di trasmettere ad altri la sua stessa vita divina e piena, cioè eterna.


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